BMCR 2008.02.29

Vergils Landschaften. Versuch einer Typologie literarischer Landschaft. Spudasmata, 111

, Vergils Landschaften : Versuch einer Typologie literarischer Landschaft. Spudasmata, Bd. 111. Hildesheim: Olms, 2006. 274 pages ; 21 cm.. ISBN 3487131919. €42.00 (pb).

Il lavoro risale a una dissertazione discussa dall’autore nel 1978 all’Università di Salisburgo. Il rinnovato confronto con l’argomento, sfociato nella pubblicazione del libro, è stato propiziato dal prof. Wolfgang Speyer. L’accento messo fin dall’inizio sul ruolo centrale di Virgilio nel panorama letterario e ideologico occidentale, con riferimento al celebre volume di Th. Haecker, Vergil Vater des Abendlandes (oggi considerato però superato), rivela in modo palese e quasi programmatico il taglio umanistico del discorso (nel senso del cosiddetto “neoumanesimo”), sul modello di Karl Büchner e Friedrich Klingner (anch’essi citati spesso nel volume, non a caso).

L’opera, la cui struttura bipartita è incorniciata da un’ampia introduzione e da una sintetica conclusione, tratta prima la tecnica della descrizione paesaggistica, sia nella prospettiva “poetologica” (pp. 23-61) sia in quella soggettiva ed emotiva (pp. 62-90); la seconda parte riguarda invece la “trasfigurazione” della terra natale, con speciale attenzione per la “sfera bucolica” (pp. 91-121) e per l’Arcadia (pp. 122-229). Nel discorso introduttivo, di carattere metodologico, Witek si mostra consapevole dello spessore dell’argomento, che contempla molteplici intrecci “um die geistigen Komplexe Natur, Land und Landschaft” (p. 10). Un necessario presupposto è il rapporto reciproco tra uomo e paesaggio: l’essere dell’uomo nel paesaggio e l’essere del paesaggio per l’uomo. A ragione è contestata l’idea di “Entwicklung des Naturgefühls”, che implica la sottovalutazione della sensibilità per la natura nell’antichità (p. 17). Si mette in conto piuttosto un ampliamento del concetto di “Naturgefühl”, o meglio, “Naturerfahren” o “Naturerleben”, in cui è opportuno comprendere fenomeni religiosi, psicologici e storico-culturali.

L’analisi della tecnica descrittiva prende le mosse dalla distinzione di tre possibilità, corrispondenti a diverse gradazioni di aderenza alla realtà, a seconda che l’immagine poetica sia oggettiva e geograficamente attendibile (quando il paesaggio funge soltanto da sfondo, come nel Carme 35 di Catullo o nell’ Iter Brundisinum di Orazio) o sia una trasfigurazione della natura “im Interesse der poetischen Notwendigkeit” (nel senso che il poeta “bestimmte Züge betont, andere weglässt oder Elemente aus fremden Landschaften einführt und miteinander kombiniert”) oppure sia una creazione fantastica (pp. 24-25). Virgilio si colloca per lo più nel secondo caso, dal momento che interpreta il paesaggio: “er verbindet sie mit ihrer Geschichte und Zukunft und stellt sie in Parallele zum Handeln des Menschen” (p. 26). Emblematica la descrizione di Cartagine ( Aen. 1, 418-438), la cui posizione geografica non coincide con la città di Didone, ma con la colonia romana fondata successivamente, in epoca augustea. Un’immagine anacronistica, dunque, che rispecchia la concezione ciclica della storia sottesa a tutta l’opera virgiliana (come si evince già dall’Ecloga IV).

La descrizione paesaggistica virgiliana non è mai completamente ed esclusivamente rappresentazione della realtà, ma implica sempre la ricerca di una verità più profonda, di natura prevalentemente religiosa. La stessa città di Roma, sfiorata appena nell’Ecloga I, assurge a “Kristallisationspunkt des Schicksals” e attinge di conseguenza una dimensione religiosa. Virgilio quindi usa il paesaggio come “Stimmungsträger”: lo pone in rapporto dinamico con l’uomo “um die Handlung zu begleiten und zu vertiefen” (p. 32). A dire il vero, il concetto del paesaggio-stato d’animo è tutt’altro che nuovo: Witek lo spiega qui lucidamente, scegliendo esempi adeguati e discutendoli puntualmente. Il richiamo al pensiero estetico di Lessing suona come un vezzo erudito alquanto suggestivo, pur non strettamente funzionale al discorso critico-letterario. Più utile il riferimento a Richard Heinze per il confronto tra Omero e Virgilio, in particolare per quanto riguarda lo sviluppo drammatico impresso al racconto epico da quest’ultimo, con l’attenzione concentrata sull’azione e con l’eliminazione delle descrizioni lunghe e articolate. Ad Hans-Dieter Reeker (autore del libro Die Landschaft in der Aeneis, Hildesheim-New York 1971) si deve la definizione di “Technik der stufenweise fortschreitenden Landschaftsbeschreibung”, ampiamente discussa da Witek, come presentazione graduale della natura in funzione dell’azione. D’altro canto, il debito contratto con Reeker, lealmente riconosciuto da Witek, non gli impedisce di confrontarsi criticamente con lui e di contestare alcuni punti del suo discorso. Così il porto libico, in cui approdano i Troiani ( Aen. 1, 159-173), è descritto gradualmente come appare agli occhi dei naviganti, secondo Reeker — di contro, Witek distingue l’alternarsi di un approccio descrittivo oggettivo-esterno (quello del poeta) con uno soggettivo-interno (quello dei Troiani, che percepiscono il luogo come ostile e minaccioso, per un motivo legato al tessuto ideologico del poema, ovvero allo scopo del loro viaggio, fissato dal destino). Un concetto illuminato e confermato dal paragone con un altro brano, l’approdo dei Troiani nel Lazio ( Aen. 7, 29-36), in cui si riscontrano elementi paesaggistici simili a quelli del porto libico, ma l’atmosfera è completamente diversa, ammantata di letizia.

La “Erlebnisperspektive”, la descrizione paesaggistica in funzione della presenza umana, si lascia riconoscere già nelle Bucoliche, pur con una configurazione differente. L’Ecloga I è tutta giocata sulla contrapposizione tra “Heimatlandschaft” (il luogo amato e idealizzato dai pastori) e “Ferne” (il paese lontano e inospitale, in cui Melibeo è destinato ad andare in esilio): il secondo è caratterizzato negativamente (per contrasto rispetto al primo) ed è definito perciò “Gegenlandschaft” (p. 42). Lo sfondo naturale del componimento è filtrato dallo sguardo dei due pastori ed è impregnato dei loro sentimenti. La peculiarità della tecnica virgiliana è messa in luce altresì mediante l’analisi comparativa con l’Ode 1, 9 di Orazio, in cui il paesaggio esprime uno stato d’animo e assurge a un piano simbolico-paradigmatico: tuttavia la descrizione non si compone gradualmente, ma si risolve nella successione di immagini diverse, apparentemente incoerenti, che si diramano da un’idea centrale — a buon diritto Witek considera Orazio “intellektueller”, Virgilio “empfindsamer und religiöser” (p. 47).

Il paesaggio può essere inteso poi come “geistiger Bereich”, secondo uno schema non puramente fantastico, bensì formato con elementi provenienti da diversi luoghi, compatibili con uno sfondo comune. Un esempio è il paesaggio “segnato da un dio”, che è un posto richiamato dal poeta per il suo carattere sacrale. Il riferimento topografico, se non è menzionato apertamente come luogo di culto, può essere incluso implicitamente in un appellativo del nume. Un elenco di tali richiami serve a onorare il dio, a rendere conto del suo potere diffuso nel mondo e concentrato nei luoghi a lui cari. Un altro esempio di paesaggio formato da elementi originariamente eterogenei è “die Landschaft der Ferne”, notevole per il fatto che “in ihrer negativen Tönung eine bestimmte Gefühlshaltung des Dichters widerspiegelt” (p. 52). A questo modello paesaggistico può essere accostato “der Typus der grauen- und schreckenerregenden Landschaft”, da ricondurre al motivo retorico del locus horridus, che però non è nominato da Witek. Lo studioso parla piuttosto di “Fluchhaltigen in der Landschaft” e prende in esame il quadro dell’Etna ( Aen. 3, 570-582), che fa da sfondo all’episodio del ciclope. Il confronto col corrispettivo brano omerico illumina il lavoro di Virgilio, che accentua il carattere mostruoso di Polifemo, lo priva dei tratti umani (come la facoltà di parlare) a lui attribuiti nel modello greco. Il Mantovano persegue questo scopo con l’aiuto del paesaggio, in particolare per mezzo dell’Etna, rappresentato “als personifizierte, drohende Naturkraft” , con riferimento al mito di Encelado (p. 56). Lo scenario dell’Etna serve quindi ad anticipare e a preparare l’episodio dei ciclopi, i quali “werden… der menschlichen und menschenähnlichen Sphäre entrückt und an gewaltige, dämonisch erscheinende Naturmächte angenähert” (p. 57). Nello stesso solco si pone il quadro orrido dell’antro di Polifemo ( Aen. 3, 616-619), simile a quello di Caco, descritto più avanti nel poema (8, 190-199): l’analogia riguarda le immagini (come i resti dei pasti sanguinari) e anche le parole (cf. la scheda lessicale, p. 61). Polifemo e Caco abitano lo stesso tipo di luogo e “sono caratterizzati da esso”: si tratta infatti di “eine entartete und pervertierte Landschaft, ein Bereich des Chaos, in dem Kräfte herrschen, die dem Menschen feindlich gesinnt sind” ( ibidem).

Fin qui l’aspetto tecnico del paesaggio poetico, la sua funzione dinamica nella narrazione. Diverso l’approccio dell’autore con un luogo a lui familiare, a lui caro, “weil er persönliche Beziehungen zu ihr hat und ihr Gefühle entgegenbringt”. Questo rapporto col paesaggio implica molteplici sentimenti: “Freude über Rückkehr, Trauer über Scheiden, Bewunderung, Dankbarkeit, Hoffnung” (p. 63). Tale “simpatia” (in senso etimologico, come legame interiore) non nasce dalle qualità oggettive di una determinata zona, dalla bellezza o dalla docilità della natura, ma dalla trasfigurazione della realtà attuata emotivamente, sull’onda della memoria. Così Melibeo rimpiange il proprio podere come se fosse il posto migliore del mondo, pur conoscendone gli aspetti negativi, i terreni rocciosi e paludosi.

Il contrasto tra il paese amato e un luogo lontano, caratterizzato ex contrario, si trova anche nelle Georgiche, segnatamente nelle laudes Italiae : l’egemonia politica dell’Italia è tralasciata, quasi dissimulata nella celebrazione della sua natura: la fertilità della terra, l’innocuità della fauna, ma anche la bellezza delle città, le virtù della popolazione. Nell’elogio si concentrano tutti gli aspetti positivi di un luogo eccellente, che spicca tanto più a confronto con i lati negativi degli altri paesi: elementi storici e mitologici si fondono nel richiamo al regno pacifico e prospero di Saturno. Si delinea così “das Bild eines geistigen Bereiches, zu dem sich der Dichter bekennt, mit dem er durch die gefühlsbetonte Grundhaltung der Bewunderung, Dankbarkeit und Hoffnung verbunden ist” (p. 71). Breve il passo di qui a un altro tipo paesaggistico: “die Sympathie- oder Wahlheimat”, con cui vi è un legame interiore per il fatto che “die betreffende Gegend mit Menschen zusammenhängt, die uns teuer und wert sind”, personaggi storici amati e ammirati o contemporanei, maestri o amici (p. 73). Questo fenomeno si riscontra in piccolo nel mutamento del paesaggio sotto l’influsso sentimentale, ossia nella corrispondenza tra la presenza o l’assenza della persona amata e la condizione della natura, rinverdita o inaridita (come a Buc. 1, 36-39; 7, 53-60). Il medesimo fenomeno è rappresentato più in grande da un personaggio simbolico, che incarna “die Vorstellung vom Heilbringer, der schon durch seine bloße Anwesenheit Glück und Fruchtbarkeit des Landes garantiert”, come il bambino dell’Ecloga IV o Dafni nella V (p. 78). Questa esperienza della natura è paragonabile alla “simpatia per la patria”, tanto che Witek parla di “einer vermittelten Heimat” per il paesaggio “condizionato” da un personaggio amato (p. 80). Di qui si passa a un altro tipo, definito “Wunsch- oder Bekenntinsheimat”, che possiede un carattere esemplare, una sorta di uis admonitionis. È il caso di un luogo abitato da profughi, che credono di riconoscere lì i tratti del proprio paese o tendono a crearli artificialmente, come i Troiani stanziati a Butroto ( Aen. 3). Virgilio però conferisce a questo paesaggio “den Zug des Unechten”, descrivendolo con termini valutativi: l’indicazione di falsità è legata alla conservazione dell’identità troiana in un’altra patria, concepita come una “nuova Troia”. Uno scopo, questo, a cui Enea deve rinunciare per adeguarsi a un disegno superiore, che porterà il suo popolo a integrarsi nel Lazio, a fondersi col sostrato autoctono, fino a cambiare nome. Il libro III è incentrato appunto sul susseguirsi degli sfortunati tentativi messi in atto dai Troiani per conservare il legame col proprio passato.

Ampio spazio è dedicato al tipo del “verklärten Heimat”, portatore di un contenuto sentimentale e di un messaggio simbolico. Sullo sfondo si trova un luogo realmente esistente, conosciuto e amato dal poeta: esso è sottoposto a un processo idealizzante, che lo sottrae all’approccio realistico e lo innalza su un piano superiore. Così è il mondo dei pastori, la “sfera bucolica”, improntata a lieta semplicità di vita, per analogia con la mitica età dell’oro — se non che, per Virgilio, questo non è un passato definitivamente perduto, bensì “un possibile futuro” (p. 92). Tale paesaggio non si colloca in uno spazio geografico reale, chiaramente determinato: elementi siciliani e richiami a un luogo greco trasfigurato miticamente, l’Arcadia, s’innestano su uno sfondo italico-settentrionale (dove Virgilio è nato e cresciuto). Le menzioni della Sicilia e delle sue località, come dimostra un’accurata rassegna (pp. 101-111), non costituiscono mai la cornice geografica delle Ecloghe: si tratta piuttosto di segnali allusivi, inseriti da Virgilio per mettere in risalto il proprio rapporto con Teocrito, per esprimere cioè l’adesione alla “poesia bucolica teocritea”. Anche l’ambientazione italica non deve essere concepita rigidamente: non bisogna dimenticare che Virgilio nel proprio lavoro creativo “Realität und Idealität, Konkretheit und Phantasie verbindet” (p. 113). Se l’idealizzazione è evidente già nelle Ecloghe I e IX, in cui l’esperienza delle confische è rielaborata poeticamente, questo processo giunge al culmine, estendendosi sullo scenario ecumenico, nella Bucolica IV: qui il paesaggio diventa “Offenbarung des Göttlichen” (p. 121).

Resta da considerare la più peculiare e fortunata creazione paesaggistica (ma anche psicologica e morale) della poesia virgiliana: l’Arcadia. Witek ripercorre il dibattito critico da Bruno Snell fino a Ernst Schmidt (autore del famoso articolo “Arkadien. Abendland und Antike”, Antike und Abendland 21, 1975, pp. 36-57, ristampato poi nel volume Bukolische Leidenschaft, Frankfurt-Bern-New York 1987, pp. 239-264). Quest’ultimo ha il merito di aver sostituito il quadro sincronico tradizionale (sostanzialmente antistorico) con un approccio diacronico, distinguendo il motivo virgiliano dai successivi sviluppi, tra cui spicca quello rinascimentale, che deriva dal genere elegiaco (soprattutto da Tibullo), oltre che da quello bucolico: estraneo a Virgilio è il sentimento di fondo, ammirazione e nostalgia per l’età dell’oro e in generale per il mondo antico. Fin qui Witek concorda con Schmidt, da cui si distacca però (a buon diritto, secondo me) per quanto riguarda l’ambiente descritto nei componimenti virgiliani. Nessuna delle Bucoliche, a ben guardare, si svolge in Arcadia: questa regione è richiamata qua e là in funzione allusiva, per lo più in rapporto col dio pastorale Pan, presentato da Virgilio come “Meister des Flötenspieles” e perfino come “Erfinder der Flöte” (pp. 139-140). Toponimi arcadici come i monti Liceo e Menalo non sono che richiami al dio ispiratore del canto bucolico e al genere poetico da lui rappresentato, in cui si colloca Virgilio. La relazione tra la divinità e la regione trova conferma nelle Georgiche: Pan è invocato insieme col Liceo e col Menalo fin dal proemio, non più come ispiratore del canto bucolico, bensì tra i numina agrestia preposti al lavoro nei campi, argomento del poema. Più che la sua attitudine per la poesia e per la musica, ora conta forse un’altra prerogativa, “das Hüten der Schafe”, che rientra nella tematica didascalica (p. 182). Inoltre nelle Georgiche l’Arcadia non è solamente la patria di Pan, ma anche dell’eroe-apicultore Aristeo.

Infine l’Arcadia ritorna, non senza ulteriore evoluzione, nell’Eneide. Virgilio rievoca il passato del Lazio nel regno “aureo” di Saturno, destinato a rivivere nel futuro, che è poi il presente di Virgilio, sotto il governo di Augusto. Gli Arcadi del re Evandro sono gli eredi morali del regno di Saturno, di cui condividono il modus uiuendi semplice e puro: non sono più i pastori dediti al canto, protagonisti e simbolo del genere bucolico, bensì “Vertreter des einfachen und ursprünglichen Hirtenlebens” (p. 228). L’Arcadia è nominata come terra di origine di questa popolazione greca, emigrata in Italia e destinata a diventare parte integrante della civiltà romana. Quando Evandro porta Enea a visitare i luoghi praticati dal suo popolo e consacrati ai riti religiosi, Virgilio introduce anacronisticamente elementi romani: piani temporali diversi si sovrappongono e si compenetrano (dal regno di Saturno a quello di Evandro, dalla Roma arcaica all’età augustea), con un procedimento definito da Witek “Konzentrations- oder Verdichtungstechnik” (p. 225). In filigrana s’intravede l’Arcadia, patria originaria di una parte importante della popolazione romana, che da quella terra erediterà una concezione di vita improntata alla virtù e alla pietas.

Come si vede da questo resoconto, al libro di Witek bisogna riconoscere il merito non piccolo di non rimanere ingessato nel proprio argomento, di non soffermarsi sul tema del paesaggio con approccio eccessivamente ravvicinato, chiuso e miope, ma di saper spaziare nell’universo contenutistico e ideologico virgiliano (dalla concezione della storia alla controversa relazione con l’attualità augustea), sia pur con conclusioni non sempre innovative. Si tratta di un libro interessante, ricco di spunti pregevoli. Tanto più dispiace dover riconoscere un aspetto decisamente carente, l’aggiornamento bibliografico, impegnativo quanto necessario per uno degli autori antichi più studiati in tutto il mondo, qual è Virgilio. Nella bibliografia (in massima parte in lingua tedesca o inglese) mancano pubblicazioni importanti, riguardanti la concezione della natura, la ricostruzione della topografia o la tecnica della descrizione paesaggistica nelle opere virgiliane, come F. Della Corte, La mappa dell’Eneide, Firenze 1972; F. Serpa, L’idea di natura nelle Georgiche, Trieste 1983; D. Gagliardi, “Il paesaggio siciliano nelle Bucoliche e l’Arcadia”, Civiltà classica e cristiana 3 (1982-1983), pp. 183-189; G. Magiulli, Incipiant siluae cum primum surgere, Roma 1995; M. Geymonat, “Immagini letterarie e reali del paesaggio di montagna in Virgilio”, Philologus 144 (2000), pp. 81-89. L’elenco potrebbe continuare, senza contare che alcuni contributi di rilievo, inclusi nell’indice bibliografico, non sono adeguatamente messi a frutto da Witek e non sono discussi mai o quasi mai nel corso del libro: così R. Jenkyns, Virgil’s Experience. Nature and History: Times, Names and Places, Oxford 1998. Insomma, si ha l’impressione che la dissertazione originaria (di per sé veramente buona) non sia stata opportunamente rimaneggiata e aggiornata alla luce della successiva, sterminata bibliografia virgiliana.