BMCR 2007.12.41

Biaios didaskalos. Rappresentazioni della crisi di Atene della fine di V secolo

, , Biaios didaskalos : rappresentazioni della crisi di Atene della fine V secolo. Pubblicazioni della Facoltà di lettere e filosofia dell'Università di Pavia / Dipartimento di scienze dell'antichità ; 108. Pisa: ETS, 2005. 134 pages : illustrations ; 24 cm.. ISBN 8846710657. €12.00.

Lo studio di Fabio Roscalla prende in considerazione le fasi finali della guerra del Peloponneso e gli anni dell’immediato dopoguerra nella prospettiva di fonti ateniesi di V ma soprattutto di IV secolo a.C.

Nonostante la citazione nel titolo di un passaggio di Tucidide, che con βίαιος διδάσκαλος si riferiva al πόλεμος scoppiato tra Ateniesi e Spartani,1 la ricerca si concentra soprattutto sulla rivolta del 403 a.C., paragonabile comunque ad un βίαιος διδάσκαλος, e sulle riflessioni che intorno ad essa maturarono in storici, filosofi, oratori.

Preceduta da una breve introduzione, il volume si articola in quattro capitoli. Nel primo, “403 e dintorni” (pp. 15-36), Roscalla prende in considerazione il 403 a.C. e gli anni immediatamente successivi. È la violenza il fattore caratterizzante di questa fase postbellica, violenza intesa sia come elemento esterno impiegato dagli Spartani vincitori sui vinti Ateniesi, sia come elemento interno dai tratti assai simili alla guerra civile.

In questo quadro la rappresaglia subita da Atene all’indomani di Egospostami ad opera dei vincitori è frutto del comportamento della città improntato a ὕβρις e ἀδικία, elementi che, come sottolinea Senofonte, avevano prodotto sia la sconfitta militare sia la fine della libertà per tutti i Greci.2 Infatti, nonostante la gioia dei vincitori e, con essi, degli oligarchici ateniesi in esilio ora in grado di rientrare nella loro città, contrariamente alle aspettative generali, la vittoria di Sparta fu tutt’altro che l’inizio della libertà.3

Le violenze e le ingiustizie perpetrate prima, subite poi dagli Ateniesi, sottolinea Roscalla, trovano rimedio nonché refrigerio in una forma di censura sul recente passato, che viene imposto nella città all’indomani della fine del conflitto. È il segno della volontà di voltare pagina dimenticando le ultime dolorose e umilianti vicende. Per la polis si tratta di nuovo inizio favorito anche da una coltre di silenzio velatamente o dichiaratamente imposto: il prezzo del rinnovamento si concretizza infatti nell’ordine a μὴ μνησικακεῖν, come ricorda Eschine ancora a distanza di decenni dai fatti.4 Al “non ricordare” si affianca l’amnistia che consentiva a quanti erano stati privati dei diritti civili di riguadagnarli: il tutto per il ripristino della ὁμόνοια.

Nel secondo capitolo, “L’enigma del Menesseno” (pp. 37-46), l’Autore analizza la controversa opera platonica del Menesseno, nella quale Socrate pronuncia un elogio della storia ateniese. Attraverso una puntuale analisi della scritto Roscalla arriva ad escludere ogni anacronismo nell’affidamento del discorso al filosofo e inquadra il logos nel 403 a.C., nel contesto del “dopoguerra”.

Nel terzo capitolo, “Descrivere la stasis: da Tucidide a Senofonte” (pp. 47-80), l’Autore prende in considerazione la descrizione della stasis in Tucidide e Senofonte. Pur riscontrando una sostanziale continuità tra l’opera di Tucidide e le Elleniche di Senofonte, Roscalla rintraccia nella φιλοτιμία uno degli elementi che le differenziano: Tucidide ne dà connotazione negativa indicandola come causa di stasis,5 viceversa Senofonte, qualificandola positivamente, ne fa un motivo in grado di favorire l’arruolamento dei cittadini nelle file dell’esercito, una delle virtù di Ciro6 e Ierone,7 e addirittura un elemento di congiunzione tra umano e divino.8

Nel capitolo quarto, “La giustizia di Socrate” (pp. 81-119), Roscalla si sofferma sul recupero delle antiche leggi, un lavoro che ebbe inizio all’indomani della caduta del governo dei Quattrocento per concludersi intorno al 403 a.C. Tale operazione se, per un verso, portò a blindare la democrazia recuperando le norme che l’avevano resa salda in passato, per un altro, non mancò di avere un forte impatto ideologico anche, o soprattutto, nei decenni successivi. Del resto, la collocazione dei nomoi presso la Stoa Basileios serviva, sottolinea l’Autore, a dare ad essi visibilità ed a farli penetrare nel tessuto cittadino.

Nel contesto dei provvedimenti volti al recupero del passato l’Autore inquadra anche la vicenda di Socrate accusato e condannato per ἀσέβεια dalla sua città. Una condanna che trovò giustificazione nella volontà della polis di recuperare dal passato (e quindi anche dalle leggi antiche) gli strumenti per riemergere dai disastri del presente. In questo senso l’accusa al filosofo di θεοὺς οὐ νομίζειν, rileva Roscalla, equivalse in qualche modo alla violazione delle norme sulle quali la comunità tentava faticosamente di ricostruirsi.

Lo studio di Fabio Roscalla ha il pregio di soffermarsi su uno dei periodi più convulsi e dibattuti della storia ateniese: è il cosidetto “dopoguerra” nel quale la città di Atene tentò rapidamente di metabolizzare e superare il trauma della recente pesante sconfitta.9 L’Autore ne propone un’analisi per molti versi nuova spostando il punto di osservazione dalle vicende militari seguite alla disfatta di Egospotami, sulle quali tanto è stato scritto, al tema della memoria intesa sia in termini positivi come conservazione del passato, sia in termini negativi come silenzio e censura. Filo conduttore della ricerca è il μὴ μνησικακεῖν. Un silenzio sul passato imposto anche attraverso il controllo della scrittura (è condivisibile il legame istituito da Roscalla tra il μὴ μνησικακεῖν e la riforma dell’alfabeto voluta da Archino nel 403/2 a.C. con l’adozione dell’alfabeto ionico in sostituzione di quello attico), ma violato già nei primi decenni del IV secolo allorché, come mette in evidenza l’Autore, dalle pagine di storici e oratori emergono tracce di una memoria che sembrava perduta per sempre. Dello sforzo di Atene di recuperare il passato e con esso un’identità poleica violata dalla sconfitta nella guerra del Peloponneso fanno fede anche gli epitaffi pronunciati nella città a cadenza annuale, nei quali riaffiorano dal passato mitico personaggi come Cecrope, Eretteo, Teseo, da quello storico il ricordo delle guerre persiane che tanto lustro avevano dato alla comunit.

Curato in ogni sua parte10 e presentato in una veste grafica gradevole che rende agevole la lettura, il volume presenta un indice delle fonti citate (pp. 129-134) e una bibliografia complessivamente aggiornata (pp. 121-127), anche se qualche lacuna va rilevata sia in relazione al concetto di βίαιος διδάσκαλος in Tucidide, sia alla lettura che lo storico ateniese offre della stasis.11

Apprezzabile per chiarezza, nonostante la complessità dei temi trattati, lo studio ha il pregio di leggere trasversalmente la storia ateniese dopo Egospotami giustapponendo alle misure adottate dalla città per uscire dalla crisi, le interpretazioni offerte soprattutto da autori di IV secolo: il tutto sotto il comune denominatore di una censura prima rispettata, poi disattesa.

Notes

1. Tucidide III 82,2.

2. Senofonte, Elleniche II 2,10.

3. Senofonte, Elleniche II 2,23.

4. Eschine, Contro Ctesifonte 208.

5. Tucidide II 65,6-7.

6. Senofonte, Ciropedia I 4,1.

7. Senofonte, Ierone VII 3-4.

8. Senofonte, Economico XXI 5.

9. Sul tema, di recente: L. Santi Amantini (a cura di), Il dopoguerra nel mondo antico, Roma, L’Erma di Bretschneider, 2007 e, in particolare, il contributo di G. Schepens, “Tucidide ‘in controluce’. La guerra del Peloponneso nella storiografia greca del IV secolo”, pp. 59-99.

10. Unica irrilevante svista a pagina 47 nota 1: “aristicratica” in luogo di “aristocratica”.

11. Questi temi sono analiticamente affrontati da cfr. M. Intrieri, βίαιος διδάσκαλος. Guerra e stasis a Corcira tra storia e storiografia, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2002, che peraltro adotta come punto di partenza l’espressione tucididea βίαιος διδάσκαλος.