BMCR 2007.01.30

Interpretare i bolli laterizi di Roma e della Valle del Tevere

, Interpretare i bolli laterizi di Roma e della Valle del Tevere: produzione, storia economica e topografia: atti del convegno all'École française de Rome e all'Institutum Romanum Finlandiae, 31 marzo e 1 aprile 2000. Acta Instituti Romani Finlandiae, vol. 32. Roma: Institutum Romanum Finlandiae, 2005. x, 323 pages: illustrations, maps. ISBN 9525323102. €45.00.

Table of Contents

Il volume contiene gli atti di un convegno tenuto a Roma il 31 marzo e il 1 aprile 2000 all’Institutum Romanum Finlandiae. L’indagine sui bolli laterizi, la loro diffusione e la loro cronologia è fondamentale per lo studio dell’attività edilizia della città di Roma, a partire dai contributi di Herbert Bloch dal 1947, e più in generale per la comprensione degli interessi economici della classe superiore romana, che riusciva a collegare le produzioni nei propri fondi — inclusa la fabbricazione di laterizi — e le esigenze del consumo urbano. Del tema si sono occupati molti rappresentanti della scuola finlandese a Roma, a partire da Margareta Steinby. Per questo l’analisi della produzione laterizia “urbana” nella sua organizzazione interna, in quanto ricavabile dai bolli, ha avuto la funzione di modello che è stato più o meno ripreso negli studi delle aree locali, per i quali uno dei problemi di fondo era di verificare se proprio tale modello fosse in una determinata zona applicabile o meno, mentre d’altro canto molti si sono chiesti se fosse trasferibile anche ad altri settori della cultura materiale. Intervengono nel dibattito da cui ha origine il presente volume, per molto tempo rimasto ristretto a pochi specialisti, anche studiosi che si sono occupati di altri ambiti, come Daniele Manacorda che si è più volte interessato di anfore bollate e Philip M. Kenrick che si è occupato pochi anni fa dei bolli della terra sigillata.

Dopo la “Premessa” in cui Christer Bruun esprime la sensazione che la ricerca (definita “tegulogistica”) sull’industria laterizia di Roma e dintorni si trovi (riferito all’anno 1999) in un momento di particolare fecondità, il medesimo curatore introduce “La ricerca sui bolli laterizi — presentazione generale delle varie problematiche” (3-24). In essa elenca alcuni dei principali problemi del campo, che in larga parte sono trattati nel volume. Essi sono: a) la mancanza di un corpus aggiornato e completo, indispensabile perché si va aggiungendo sempre nuovo materiale; b) “un nuovo e preciso lavoro prosopografico” (10); c) una miglior comprensione del ruolo dell’imperatore e del governo imperiale nella produzione e nello smercio dei laterizi; d) una chiarificazione dei rapporti contrattuali ed economici tra dominus e officinator, pur potendo essi aver “variato da caso a caso” (18); i rapporti tra bolli laterizi e attività edilizia, anche alla luce della constatazione che ad es. a Ostia “nella maggior parte degli edifici i fornitori erano numerosi” (20). Nel contributo di John Bodel si rimarca il fatto che, anche quando il fornitore fosse lo stesso, le forniture potevano comprendere materiale prodotto in anni diversi e perfino da officinatores diversi.

Daniele Manacorda in “Appunti sull’industria edilizia a Roma” (25-52) presenta una serie di annotazioni che spaziano tra vari argomenti, ad es. dal rapporto tra fornitori di legname per l’edilizia, parimenti marchiato (26-28), a un possibile deposito di laterizi (“navale — nell’accezione imperiale del termine”) (28) all’attività edilizia di coloro che investivano le loro sostanze nei caseggiati d’affitto romani (32), come l’eunuco imperiale Posides — l’altezza delle cui costruzioni gareggiava con quella del Campidoglio. Costui aveva buoni rapporti con i tectores e i fabri tignarii, specialmente per merito degli Appuleii, come pare attestato da una serie di epigrafi urbane, rinvenute “tra le odierne vie Salaria e Pinciana” (35).

Jean-Jacques Aubert “L’estampillage des briques et des tuiles: une explication juridique fondée sur une approche globale” (53-59), partendo dalle tesi di Eva Margareta Steinby sul significato contrattuale dei marchi, osserva (56) che non vi può essere contratto se compare un nome unico. I contratti di affitto delle officine di vasai di Ossirinco (58) della metà del III sec. d. C. paiono ammettere l’ipotesi che l’ officinator incaricato della conduzione di una fornace avesse una certa libertà di manovra. Al termine del suo lavoro l’autore conclude che “l’apposition des estampilles sur un nombre considérable de produits reflète la volonté d’imposer une norme dans une industrie de masse, étant donné que même l’usage de moules ne mettait pas à l’abri de variations considérables par rapport au modèle de base ” (59). Perci avrebbero avuto la funzione di un marchio di qualità. Non è chiaro peraltro cosa significhi “considérable”: si pu facilmente osservare che se i marchi garantivano la qualità, allora dovrebbero essere stati stampigliati tutti i prodotti, cosa che non si verifica né per le anfore (circa il 10 % sono bollate nella tarda epoca repubblicana), né per la terra sigillata e tantomeno per i laterizi.

John Bodel Speaking signa and the brickstamps of M. Rutilius Lupus” (61-94) dedicato ad Herbert Bloch, anno nonagesimo quinto feliciter, intende studiare i “meaningful” signa che non sempre è facile distinguere dagli elementi decorativi. La sua analisi estremamente penetrante si sofferma sulle vicende delle figlinae Bruttianae prima, durante e dopo l’assenza da Roma di M. Rutilius Lupus come praefectus Aegypti dal 113 al 117. Vediamo così gli speaking signa, tra cui quello di Lupus, utilizzati sia per indicare il dominus sia l’officinator, al tempo in cui le due funzioni erano assunte dalla medesima persona. Di grande interesse anche le modificazioni intervenute nella produzione, causate dall’assenza dello stesso Lupus.

Elio Lo Cascio “La concentrazione delle figlinae nella proprietà imperiale (II-IV sec. d. C.)” (95-102) in un denso contributo si domanda come avvenga l’accaparramento di gran parte delle figlinae e dei praedia in cui esse erano localizzate, fin dall’età severiana, in coincidenza con la scomparsa della bollatura e una consistente riduzione dell’attività edilizia. Dopo aver rilevato che non esiste un patrimonio della funzione imperiale come entità distinta dal patrimonio dei singoli imperatori (99) osserva che “la confluenza di molte figlinae nella proprietà imperiale. . .non configura di per sé. . . un controllo statale oppressivo e generalizzato” (102). La ricomparsa dei bolli nell’età tetrarchica conferma che la parziale eliminazione dei privati non fu un fenomeno irreversibile, tanto che essi ritornano dopo l’età costantiniana.

Tiziano Gasperoni “Nuove acquisizioni dai praedia dei Domitii nella valle del Fosso del Rio” (103-120) introduce alla seconda parte del volume, in cui si parla espressamente dei materiali: si localizzano qui gli impianti dei Domitii, attivi dall’età di Claudio a quella di Costantino e passati con Marco Aurelio al patrimonio (qui detto “monopolio” a p. 104) imperiale.

Giorgio Filippi ed Enrico A. Stanco “Epigrafia e toponomastica della produzione laterizia nella Valle del Tevere: l’Umbria e la Sabina tra Tuder e Crustumerium; l’Etruria tra Volsinii e Lucus Feroniae”, (121-200) costituisce il cuore del volume, di cui occupa un quarto. L’intento è di presentare “un’analisi comparata della distribuzione dei prodotti, dei siti di provenienza, della prosopografia dei personaggi, della toponomastica, della topografia delle fornaci moderne, della viabilità fluviale e dei mezzi di trasporto di età romana ” (121), in una fascia peritiberina ampia 15 km. L’analisi riguarda 1753 esemplari — pari a poco meno del 20 % del complesso dei bolli “urbani” , ripartiti in 723 tipi dei quali 101 inediti. La conclusione del lavoro, veramente imponente, è che i prodotti destinati a Ostia, Roma e Tivoli non venivano fabbricati “in città o negli immediati dintorni”, come si riteneva un tempo, ma provenivano da aree distanti anche più di 100 chilometri (122, nota 3). Dallo studio si ricava anche che l’ubicazione di alcune figlinae, ad es. quelle Bruttianae, collocate dal Bloch nel Vaticano e dal Camilli genericamente in Trastevere, si trovavano probabilmente nell’agro Amerino, presso Narnia (140-142).

Elisabetta Gliozzo “La diffusione dell’opus doliare ‘urbano’ nell’Etruria romana: rapporti tra produzione ‘urbana’ e ‘municipale’ ” (201-212) presenta un’indagine complementare a quella dell’area tiberina, poiché si estende a tutta l’attuale Toscana (201). In quest’area il rapporto tra produzioni “municipali” e produzioni “urbane” (definizione di comodo) è vario e nettamente distinto tra zona costiera e territorio interno.

Alessandra Lazzaretti e Silvia Pallecchi “Le figlinae ‘polivalenti’: la produzione di dolia e mortaria bollati” (213-228) offrono un confronto incrociato sulla produzione di dolia e mortaria, che permette di considerare la produzione di alcune officine “polivalenti”.

Elisabetta Gliozzo e Giorgio Filippi “Archeologia e archeometria della produzione doliare bollata ‘urbana’: ulteriori dati e riflessioni” (229-247) offrono un’indagine archeologica e archeometrica su tredici figlinae doliari. Non sempre i dati forniti dalle iscrizioni e dall’analisi del corpo ceramico coincidono. Lungi dal trarre conclusioni affrettate sarebbe necessario ampliare il numero dei campioni indagati per affermare la possibile diversa localizzazione di officine che usavano lo stesso bollo.

Pekka Tuomisto “I bolli laterizi anepigrafi nell’area di Roma e dintorni” (249-290) offre una interessante ricerca, certamente foriera di nuovi sviluppi, in una “categoria di bolli laterizi finora poco studiata” che peraltro potrebbe portare alla comprensione dell’organizzazione dell’industria laterizia dalla metà del II alla fine del III secolo (249). I bolli di questo genere sono ormai più di 300. Alcuni sono ben datati, come quelli rinvenuti nel balneum dei fratres Arvales, prodotti forse da soldati tra 196 e 222. Il catalogo è alle pp. 254-289. Osserviamo che i bolli formati da cerchi concentrici impressi paiono simili a molti “bolli” che si trovano sui fondi di bottiglie in vetro, quadrate o rettangolari, del medesimo periodo. Tuomisto osserva che per essi il “timbro ideale sarebbe un piccolo vaso metallico” (266); vorrei suggerire che, poiché ci troviamo in un ambito militare, sarebbero piuttosto da tenere in considerazione i dischi metallici di diametro e spesso simili caratteristiche che sono stati rinvenuti in gran numero in accampamenti militari, ad es. a Weissenburg, Holzhausen e Niederbieber in Germania (cfr. J. Oldenstein, Zur Ausrüstung römischer Auxiliareinheiten. Studien zu Beschlägen und Zierart an der Ausrüstung des obergermanische-rätischen Limesgebietes aus dem zweiten und dritten Jahrhundert n. Chr.”Bericht d. Römisch-Germanischen Kommission”, 57, 1976, 236) e, almeno negli ultimi due casi, si datano al periodo successivo al 180/190 d. C. A una data prossima conduce anche l’evidente finimento di briglia che si vede aver formato, per impressione, il “bollo ornamentale quasi rettangolare” di p. 287.

Eva Margareta Steinby e Philip M. Kenrick illustrano un “Programma per un database dei bolli doliari di Roma” (291-306). L’insieme dei bolli urbani per ora comprende “oltre 30.000 bolli individuali (divisi fra 5.000 stampi diversi)”: nel CIL, XV, 1 sono editi forse 8.000 esemplari. Urge quindi una pubblicazione complessiva, cui intende accingersi la studiosa finlandese, a coronamento di trent’anni di studi in materia. Kenrick è stato scelto come collega anche per le sue competenze informatiche dopo la pubblicazione della seconda edizione rivista del Corpus Vasorum Arretinorum di Oxé e Comfort, sia come catalogo a stampa che in forma di CD con circa 36.000 esemplari bollati. È sperabile che l’iniziativa possa essere avviata e concludersi in breve tempo.

Una comoda e pratica serie di “indici selettivi” conclude il volume. Essi elencano le fonti letterarie (307), iscrizioni, papiri e ostraka (307-308), bolli laterizi (308-313), nomi personali antichi (313-316), nomi geografici (316-318), di studiosi moderni (318) e di cose notevoli (318-323).

Quasi ogni contributo ha a che fare con gli studi di Eva Margareta Steinby, vera genius loci del campo, o perché parte dai suoi studi fondamentali e dalle sue osservazioni o perché esse in parte vengono discusse.

Qualche raro errore di ortografia (es. “arrichirsi” p. 8, “debattito” e “sopratutto” p. 11, “piì” p. 231, “caretterizzazione” p. 232, “techniche”, p. 233, “eccezzione” p. 253, “eccezzioni” p. 258, nota 45) non interrompe la lettura del testo, che appare completato da numerose tabelle e illustrazioni.

Lo studio dei bolli laterizi, che ha conosciuto specialmente negli anni Ottanta e Novanta un nuovo e generalizzato interesse, appariva da qualche tempo meno praticato: è auspicabile che una raccolta di saggi spesso stimolanti, come quella riunita in questo volume, possa contribuire a riprenderlo e ad incrementarlo, su fondamenti teorici più articolati.