BMCR 2007.01.13

Ethne e religioni nella Sicilia Antica. Atti del convegno (Palermo, 6-7 Dicembre 2000). Supplementi a Kókalos, XVIII

, , , Ethne e religioni nella Sicilia antica : atti del convegno (Palermo, 6-7 dicembre 2000). Supplementi a "Kókalos", 18. Roma: G. Bretschneider, 2006. xii, 435 pages, xix pages of plates : illustrations, map ; 25 cm.. ISBN 8876891900. €200.00 (pb).

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Il volume, inserito nella collana dei “Supplementi a Kokalos” e pubblicato dalla casa editrice Giorgio Bretschneider, contiene gli Atti del Convegno, dal medesimo titolo, tenutosi a Palermo nel dicembre del 2000. Il ritardo nella pubblicazione è dovuto alla improvvisa scomparsa (25/12/2005) di Giuseppe Martorana, ideatore del Convegno, alla cui memoria il volume è dedicato. Nella Premessa (XI-XII) agli Atti, è tracciato un breve profilo di Martorana e vengono spiegati i motivi ispiratori del Convegno: messa a punto dello stato attuale delle conoscenze sulla religione antica in Sicilia e contemporaneamente punto di partenza per nuovi indirizzi di ricerca, alla luce dei recenti risultati dell’indagine archeologica.

Mario Mazza dà alle stampe una versione rielaborata della sua relazione introduttiva, il cui tema è la definizione di Identità (sia essa individuale o collettivo-etnica) e di Religione. Partendo dalla definizione di Geertz,1 l’autore sottolinea l’importanza dei miti di fondazione nella coscienza dei Greci in età arcaica (p. es. precoce ricostruzione già nell’VIII secolo a.C. della genealogia mitica di Elleno2). In età classica, un rituale di fondazione può definire un’entità collettiva (p. es. la polis) conferendole un’identità sacra (p. es. la diataxis di C. Vibius Salutaris nella Efeso del I secolo d.C.). L’identità dei singoli gruppi o individui è data da quattro elementi (rivelazione, dottrina, iniziazione, auto-separazione) non sempre necessariamente compresenti. Per definire l’identità personale invece ci si basa sul rapporto dell’individuo con la divinità, tramite la rivelazione o la conversione. La definizione di identità per via religiosa subì un processo di astrazione e, per così dire, di simbolicizzazione: le religioni non definiscono più entità naturali o collettive (ethnos, polis) ma individui, gruppi di individui o movimenti collettivi.

Partendo dai pochi dati archeologici disponibili (raffigurazioni rupestri a soggetto animalistico in alcune grotte), Sebastiano Tusa offre una breve sintesi sui caratteri della religiosità nella paletnologia siciliana, enucleando l’elemento volatile al centro delle credenze magico-religiose delle popolazioni isolane fra il Paleolitico ed il Neolitico. Durante il lungo processo della rivoluzione neolitica, anche l’aspetto religioso subì una trasformazione, evidenziata dalla sostituzione dell’elemento aria con quello della terra. La comparsa in Sicilia di idoletti dalla nota iconografia con evidente steatopigia e quella delle stele scolpite della civiltà di Castelluccio, mostrano un chiaro influsso egeo-anatolico3 che sembra collocare l’isola alla periferia occidentale della koinè culturale del Mediterraneo orientale, terra di frontiera con l’area della Europa occidentale. L’autore infine si congeda con alcune interessanti ipotesi di lavoro sulla continuità della religiosità siciliana lungo l’età della Pietra (p.es. la funzione apotropaica dell’occhio che dalla stele di Roccazzo si ritrova nella ceramica impressa di Stentinello) e la peculiare ricorrenza della figura umana nelle rappresentazioni divine. Alle soglie del II millennio a.C. la Sicilia è ormai entrata nell’ambito della religiosità basata sull’elemento terra, ed incantata ammira il miracolo della procreazione e della fertilità.

Prendendo in esame la documentazione archeologica, Rosa Maria Albanese Procelli offre una breve esamina delle pratiche religiose in Sicilia fra l’età proto-storica e quella arcaica.4 In due distinti momenti (Bronzo Recente-Finale e seconda età del Ferro) con l’arrivo di popolazioni italiche e greche rispettivamente si assiste ai primi contatti fra autoctoni ed allogeni. Per la prima fase, a causa della scarsa documentazione, la ricostruzione della religiosità autoctona si limita (almeno a partire dall’età del Bronzo recente) alla semplice differenziazione fra una religiosità tradizionale basata su culti di fertilità maschile e femminile a carattere tellurico (Dea Madre), tipica degli indigeni, ed una a carattere uranico, di chiara importazione allogena. In età arcaica, all’indomani della colonizzazione greca dell’isola, si assistette ad un’evoluzione della religiosità maggiormente distinguibile sul piano strettamente materiale della documentazione archeologica. La costituzione di aree sacre, forse luoghi di incontro fra coloni e indigeni e di scambi commerciali, favorì quel lungo processo di identificazione che portò alla consapevolezza della diversità etnica. La variazione delle offerte votive nei santuari indigeni può essere considerato indice del cambiamento della società. Certamente influente fu la presenza di coloni greci nelle comunità indigena, dove l’apparizione di culti ellenici va vista come fase del processo di acculturazione intrapreso dalle apoikiai nel VI secolo a.C. La successiva adozione di iconografia cultuale e di architettura sacrale ( oikoi), insieme all’introduzione di culti di provenienza italica rese ancor più variegata e complessa la religiosità indigena delle età più recenti. Alla metà del V secolo, in un ambiente coloniale dominato dai Greci, si sviluppò negli autoctoni una tendenza alla auto-determinazione culturale ed etnica tramite la ‘rivitalizzazione’ dei culti indigeni (p. es. quello dei Palici e quello di Adrano).

Partendo dalla famosa ‘archaiologia’ di Tucidide (VI 2,1), Pietrina Anello ci conduce alla ricerca dei Ciclopi e dei Lestrigoni in Sicilia. La citazione tucididea non lascia adito a dubbi sull’antichità della notizia e sulla sua provenienza.5 Dato che ancor oggi resta difficile individuare tutte le località della geografia omerica, sembra doversi attribuire ad Esiodo,6 sulla scorta forse delle informazioni di marinai eubei, il merito di aver collocato sull’isola molte delle peripezie di Odisseo.7 La studiosa filtra il dato poetico: a suo parere il motivo della localizzazione dovrebbe probabilmente ascriversi alla percezione, da parte dei primi commercianti greci, delle popolazioni autoctone (forse sicane) come caratterizzate da selvatichezza e ferinità. Prova dell’ambientazione siciliana dei Ciclopi sarebbe anche la versione data da Epicarmo, in una sua commedia ispirata al famoso episodio omerico (purtroppo a noi nota sola da tre frammenti) e da Euripide nel suo omonimo dramma satiresco. Esistono infine due filoni letterari sulla figura del Ciclope: il primo, di chiara ispirazione omerica, è dato dalle parodie dei comici attici di V secolo a. C.; il secondo pare invece di origine siciliana.8 L’immagine del Ciclope innamorato, vegetariano, amante della musica e della danza avrebbe trovato il suo cantore in Bacchilide, poeta alla corte di Ierone I. Un frammento di Duride di Samo (II.A 76 fr. 58 Jacoby) ci informa del tempio innalzato a Galatea da Polifemo presso l’Etna per “la crescita di buoni pascoli per le greggi”. Il dato evidenzia un culto pre-greco, autoctono, tipico di una società pre-cerealicola e pastorale. Il rapporto di filiazione che i mitografi avrebbero stabilito fra i Ciclopi ed i Sicani, viene autoritariamente confermato proprio da Tucidide che definisce i Sicani authocthones. Tucidide cita i Ciclopi ed i Lestrigoni come primi abitanti della Sicilia (Thuc. VI, 2-5). Questo secondo filone letterario fu utilizzato da Dionisio I per rafforzare culturalmente la sua politica filo-barbarica di alleanza con gli Illiri ed i Celti. Altrettanto avrebbe forse fatto più tardi anche Agatocle, erigendosi a vendicatore del ‘barbaro’ Ciclope nei confronti dei discendenti di Odisseo (Itaca) e dei Feaci (Corcira).

Nella cultura castellucciana si intravede la nascita di una ideologia funeraria religiosa soprattutto nelle sepolture monumentali dell’area iblea. Un esempio paradigmatico ci viene offerto dallo studio di Giuseppe Terranova.9 Esaminando accuratamente la famosa ‘Tomba del Principe’ nella necropoli di Cava Lazzaro nei pressi di Rosolini, già oggetto di studi da parte di Orsi10 e di Bernabò Brea,11 Terranova non manca di puntualizzare alcuni particolari di carattere religioso offrendo interessanti paralleli con le culture coeve di Malta e della Sardegna. Le tombe monumentali dell’area iblea sono probabilmente frutto di una società di tipo pastorale e pre-agricola come quella castellucciana, in cui la comparsa di motivi religiosi si manifesta nell’ostentazione in ambito funerario di simboli e nella nascita di cerimonie religiose. Nel caso specifico, si nota un carattere cultuale dato allo spazio antistante l’ingresso della tomba appositamente risparmiato dagli abili scalpellini. Sede dei prototipi è ritenuta Malta, sia per la vicinanza geografica con la Sicilia, sia per le interrelazioni (anche commerciali) che intercorsero fra le due isole fin dal Neolitico. La lettura della nicchia come podio provvisto di altarino sormontato da un pannello illustrato da un simbolo fallico rende ancor più ricca e complessa l’interpretazione del monumento. Utilizzando un prestito greco, il Terranova definisce la Tomba del Principe come heroon di tarda età castellucciana, dove l’apprestamento cultuale risponde all’esigenza della celebrazioni di cerimonie di culto, le modalità delle quali però sono di impossibile lettura in base ai dati attualmente in nostro possesso.

L’arduo compito di Domenico Pancucci è quello di esaminare il processo formativo dell’ethnos sicano alla luce dei pochi dati storici (tutti di matrice greca, a partire dal passo tucidideo)12 e dei dati che la ricerca archeologica ha contribuito a fornire allo storico dell’antichità. La frequentazione egea-orientale della Sicilia è tramandata oltre dalla tradizione mitica di Minosse e Kokalos, anche da elementi materiali che sono stati rinvenuti nelle necropoli e nei siti indigeni. Con la caduta dei palazzi micenei, questa frequentazione allogena diminuì d’intensità ma non si fermò; contemporaneamente si assistette all’arrivo sull’isola di un gruppo umano proveniente dalle Eolie e dalla penisola e portatore di un cultura differente. Secondo l’autore, non ci sono abbastanza prove per affermare che nell’VIII secolo a.C. esistessero due distinti gruppi etnici (Sicani e Siculi) ma solo due culture materiali distinte. Se infatti per la religione dei Sicani è stato possibile evidenziare qualche elemento distintivo,13 per la documentazione linguistica non si attestano che differenze minime e difficilmente distinguibili fra i due gruppi.14 Pare dunque verosimile che i due filoni di tradizioni sull’origine epicoria o encoria siano frutto della propaganda rispettivamente siculo-greca e sicana, databile solo in un momento successivo all’arrivo dei coloni greci sull’isola. Fautori del motto romano ‘dividi et impera’, i Greci avrebbero sollecitato la nascita di due ethne differenti ed in seguito forse di un terzo (Elimi) per agevolare la loro supremazia con una accorta rete di alleanze. La storia dei Sicelioti fu una continua altalenante sequenza di avvenimenti basati sulle categorie mentali di Mescolanza e Separatezza, ovvero ellenizzazione formale degli indigeni ma non acculturazione per il mantenimento della diversità etnica.

Nicola Cusumano condivide lo scetticismo adottato recentemente da alcuni studiosi sulla possibilità di definire come siculo l’ethnos che, giunto sull’isola, avrebbe scacciato i Sicani dalla sua zona orientale (Thuc. VI, 2-5). Se infatti esistono alcune fonti greche che ci informano su avvenimenti di storia indigena (Ducezio, Arconidi, etc.) è altrettanto vero che dopo la metà del V secolo a.C. il processo di acculturazione iniziato con l’arrivo dei coloni greci fu quasi definitivamente concluso. L’ellenizzazione dell’elite aristocratica sicula e l’adozione nel complesso quadro religioso isolano dei due culti indigeni a noi noti,15 quello dei Palici e quello di Adrano, pose fine alla diversità culturale sull’isola. Le osservazioni che l’analisi di questi due culti hanno prodotto conducono alla ipotesi che l’ethnos siculo abbia adottato il modello greco. La presenza di un’organizzazione sacerdotale, del rito della purificazione e dell’uso della scrittura sono infatti indici di una riorganizzazione sociale legata al processo di alfabetizzazione. La funzione dei due culti sarebbe ambivalente: da un lato quella di catalizzare l’attenzione dei gruppi indigeni nel processo di formazione dell’ethnos siculo, e dall’altro quella di risolvere situazioni di conflitto all’interno dello stesso gruppo maturate a causa della incessante penetrazione ellenica.

L’identità religiosa e quindi etnica degli Elimi è ancora tutta da definire ed il quadro tracciato da Stefania De Vido, negando gli assunti di Brelich16 e di Manni,17 non può che essere provvisorio ed incompleto. I risultati dell’indagine archeologica sono tuttavia già tali da promettere maggiori elementi di ricerca agli storici delle religioni siciliane. Per definire in coordinate spazio-temporali l’ethnos elimo, l’autrice traccia una rete al cui asse temporale inserisce il periodo compreso fra l’età arcaica e la costituzione della provincia romana di Sicilia alla fine della prima guerra punica, mentre in quello geografico inserisce tutta l’area compresa ad ovest del fiume San Leonardo, ad accezione della costa contesa fra Greci e Fenici. Oltre le tre poleis storiche (Segesta, Erice, Entella) l’analisi comprende anche altri siti che hanno nell’area elima restituito sicure documentazioni archeologiche. Il santuario (forse di carattere etnico) dedicato alla dea di Erice favor la nascita della polis; la sua fama era celebre non solo in Occidente ma anche in Oriente. La divinità adorata (il cui nome elimo ci è ignoto) è conosciuta grazie alle fonti letterarie e all’iconografia nelle emissioni monetali di Erice, e s’inserisce nella scia della triade Astarte – Afrodite – Venere. Dalla varietà degli oggetti raccolti nello scarico di Grotta Vanella (oggetti muliebri e armi) si deduce che la dea adorata nel santuario sul Monte Barbaro fosse polifunzionale e probabilmente non ignorata dai Greci residenti a Segesta. Solo in epoca ellenistica questa divinità cominciò ad essere identificata con Afrodite. In chiave analoga, sia pure con maggiore prudenza, si può interpretare la divinità adorata nel santuario arcaico sul Monte Iato. L’estesa testimonianza ciceroniana sul culto di Diana a Segesta (Verr. II.4.72-79) lascia intuire che l’antico culto arcaico della dea degli Elimi avesse qui una differente identificazione. Dubbio appare il culto della ninfa Segesta, che molti credono di intravvedere nelle rappresentazioni monetali delle emissioni argentee di Segesta (dal V secolo al 397 a.C.). L’assenza di cicli figurativi e la vexata quaestio relativa ai culti a cielo aperto rendono difficile una ricostruzione accettabile delle religione elima in età arcaica, precedente al processo di ellenizzazione dei secoli IV-III. Ciò che rese visibile in epoca storica l’ethnos elimo fu la sua propensione al mantenimento del senso delle origini.

La disamina della religione dei Sicelioti da parte di Colette Jourdain-Annequin pone l’accento sulla grecità, non priva certo di qualche particolarità e di forte senso del sincretismo e dell’evoluzione, tipico di società di frontiera. I rapporti con i santuari panellenici18 e il cosiddetto voyage d’images tramite il commercio dei vasi19 sono due degli elementi che chiaramente mostrano l’impronta greca sui panthea coloniali, i quali mostrano spiccatamente un indiscusso prestigio dell’Apollo delfico, un sentito e diffuso culto dell’ecista ed un processo di acculturazione verso le religioni degli autoctoni. L’esempio di Selinunte, il cui pantheon è ben documentato sia dalle rovine dei suoi templi che dalle epigrafi, risulta paradigmatico. I fattori che hanno contribuito all’evoluzione dei panthea arcaici delle città siceliote sono da ritenersi l’arrivo di altri coloni, la volontà politica dei tiranni o i vari rapporti commerciali ed alleanze. Interessanti risultati sembra mostrare anche l’analisi antropologica che permette di ricostruire parzialmente i rituali degli uomini che adoravano gli dei patri.

Corinne Bonnet ci offre un breve bilancio documentario sulla religione fenicia e punica in Sicilia,20 fenomeno limitato all’area fra Selinunte e Solunto, documentabile dal 730 sino al III secolo a. C. Sebbene tale culto locale non si distingua dalla religione fenicia o punica, in quanto gli dei (Baal Hammon, Melqart, Tanit, Astarte) presenti negli spazi sacri indagati dall’archeologia sono gli stessi, risulta tuttavia ancora difficile poter ricostruire un pantheon articolato. In età ellenistica la religiosità greca penetrò nell’eparchia cartaginese ed i contatti con gli indigeni sono visibili ad oggi solo nel sito di Erice.

Quando Roma nel III secolo a.C. cominciò ad assumere i caratteri di potenza egemone, inserì nella simbologia della nascente propaganda imperialista anche il patrimonio della Sicilia, appropriandone elementi al fine di entrare a far parte del mondo storico-mitologico greco. Tutto ciò viene riflesso dalle tradizioni mitiche che Roma adottò per legittimare la sua presenza sull’isola in nome di una presunta parentela etnica con gli Elimi ad ovest e con i Mamertini ad est. Sfruttando il metodo ellenico della retro-proiezione, Roma adotta il mito fondante di Enea (da ultimo istituzionalizzato e celebrato da Virgilio ma già noto in varie versioni agli storici greci e latini, e documentabile nell’iconografia greco-italiota a partire dal IV sec.); il mito troiano, insieme al culto osco di Mamers (= Mars) gioca un ruolo determinante in funzione di propaganda anti-punica ed anti-ellenica. Dopo aver illustrato le due direttrici della propaganda romana (Elimi e Mamertini), segue l’analisi dei culti siciliani che dovrebbe corroborare la tesi di Schilling. Fortemente scettica nell’accettare il quadro proposto da Schilling,21 Ileana Chirassi-Colombo riprende in esame tutti i culti siculi (Palikoi, Anna e le Paides, Demeter e Kore, Venus Erycina, Venus Victrix di Hybla) da lui proposti per dimostrare una comunanza di sostrato con i corrispondenti modelli del pantheon romano, e non manca di citare il caso del dio siculo Adranos.

Attraverso una lunga ed esauriente esamina delle fonti storiche e dei dati numismatici dell’epoca, Giulia Sfameni Gasparro, sul solco dei suoi lavori precedenti,22 traccia una sintesi ammirevole sul ruolo della Sicilia nella diffusione dei culti orientali a Roma. Fra di essi figurano il culto della frigia Cibele, della siria Atagartis, dell’iranico Mitra e degli dei egizi (Iside e Serapide) con netta predominanza di quest’ultimi. La loro introduzione sull’isola scandita in tre distinte fasi cronologiche (età arcaico-classica, ellenistica e imperiale romana) e in maniera disomogenea nelle due aree culturali (greca e punico-elima) permette di conoscere meglio una delle tappe di avvicinamento dall’Oriente a Roma, sulla scia degli avvenimenti storici che portarono alla nascita dell’Impero romano. Senza negare l’importanza di Pozzuoli (già legata a Siracusa da importanti rotte commerciali) e di Delo (dove era forte la presenza di commercianti Italioti ed Italici), l’autrice pone l’accento sulla presenza già nel III secolo a.C. di Italici e Romani in Sicilia che avrebbero favorito l’introduzione nell’Urbe delle divinità straniere, ma proposte ora come divinità nazionali: Venus Erycina (217 a. C.) e Magna Mater (204 a.C.).

Lo stretto nesso fra Religione e Regalità è il tema del contributo di Sebastiana Nerina Consolo Langher. Si rifaceva alle parole di Aristotele (Pol. III.8 1284a) la teoria ellenistica (IV sec. a.C.) della divinizzazione del sovrano ‘dio fra gli uomini’, che esercitando ogni virtù diviene degno di onori divini. Alessandro con la sua condotta, pur senza una precisa volontà di auto-divinizzarsi, fu il modello che da lì a poco fu seguito dai suoi diadochi e da tutti i re ellenistici. Fra di essi, figurano tre personaggi della storia di Siracusa: Agatocle (307-287 a.C.), Ierone II (269-216 a.C.) e Ieronimo (216-212 a.C.). In Egitto, Tolomeo I inaugurò il culto dell’imperatore divinizzato dirottando il cadavere di Alessandro dalla Macedonia e facendolo seppellire ad Alessandria. Solo con il suo successore Tolomeo II, furono istituite (280/279 a.C.) le feste Ptolomaia in onore del padre defunto divinizzato. In seguito Tolomeo II aggiunse (272) anche quello dedicato a se stesso ed alla sorella-moglie Arsinoe (con l’epiteto di ‘Theoi Adelphoi’). Altrettanto fecero i Seleucidi in Siria, con l’istituzione del culto del capostipite della dinastia, Seleuco I Nikator ad opera del figlio successore (281 a.C.). In Sicilia, Agatocle inaugurò la linea monarchica, creando attraverso l’opera di Callia di Siracusa, una propaganda atta a giustificare la sua ascesa al trono. Seguendo l’esempio di dinastie del passato e delle contemporanee ellenistiche, Agatocle sfoggiò le virtù del buon sovrano (pietas, philantropia, euergesia) e non mancò di giungere alla sua eroizzazione come provano le famose pitture delle sue imprese belliche raccolte nel tempio di Athena e in seguito derubate da Verre (Cicerone, Verrine II, 4, 124-125). Ierone II invece sfruttò il concetto della promanazione da Zeus della sovranità, legandosi indissolubilmente con il padre degli dei. Nella sua difficile politica di equilibrio, senza fare sfoggio del diadema in privato, ma dando mostra di munificenza e mecenatismo, il sovrano siracusano volle ritagliarsi un posto fra gli illustri monarchi ellenistici. Vero strumento politico, il culto dinastico nacque dall’esigenza dei sovrani ellenistici di fondare un pantheon familiare che insieme ai culti tradizionali greci potesse aggregare le varie classi sociali all’interno dei loro regni multietnici.

Pur conscio del pericoloso criterio dell’analogia utilizzato nella sua disamina, Vincenzo Lombino, tenta di ricostruire l’identità cristiana in connessione con quella di Cristo. Entrambe infatti sono identità narrative: ovvero entrambe sono comprensibili all’interno di una narrazione che ponga il fedele in costante relazione con Gesù. Ma le storie sono recepiti da ambiti culturali differenti e mutanti nel tempo, quindi anche le identità sono mutevoli. La chiesa cristiana di Sicilia mostra di aver attraversato fasi evolutive come tutte le chiese sorelle dell’ecumene. Nel ridimensionare il carattere radicale della chiesa pre-costantiniana, come emerge anche dall’evidenze epigrafiche coeve che mostrano già alla fine del III secolo d.C. un pluralismo ideologico dovuto ovviamente alla posizione centrale dell’isola nelle correnti teologiche, punto di incontro fra le esperienze romane, africane ed orientali, l’autore non manca di sottolineare l’importanza delle testimonianze agiografiche di IV-VI secolo, quando le vite dei martiri siciliani (Euplo, Agata e Lucia), insieme alle opere degli storici ecclesiastici, furono il mezzo di rinascita dell’identità cristiana sull’isola, basata sul modello di Cristo. L’intolleranza espressa nell’opera contro i pagani di Firmico Materno, aristocratico siciliano convertito al cristianesimo, da sola fa luce sull’influsso ariano sull’isola.23

Sebbene la documentazione archeologica sia scarsa e quella storica quasi inesistente, Clara Gebbia ci offre un ritratto della presenza giudaica sull’isola.24 In età tardo-antica, gruppi più o meno consistenti di Ebrei sembrano perfettamente integrati nella società rurale isolana, in ciò favoriti dall’uso del greco. La loro interazione con i cristiani non si limitò al mondo del lavoro in vari ambiti (agricoltura, commercio, artigianato) ma va intesa forse come forma di sopravvivenza in un’epoca in cui, finita la pax romana, il potere centrale metteva in atto politiche anti-giuidaiche. Le nostre conoscenze attuali non permettono di distinguere facilmente gli elementi giudaici da quelli guidaizzanti presenti in questa tradizione.

Il breve intervento di Antonio Franco, posto ad evidenziare alcuni punti di interesse nella discussione, offre un’ipotesi sull’identificazione della sicula Trikanie con la roccaforte nord-orientale del Mendolito.25

L’ultimo tema infine affrontato nel Convegno, ovvero la Sicilia d’età gregoriana, viene sviluppato da Roberta Rizzo in un profilo quanto mai variegato del panorama religioso e culturale dell’isola, ricca di persistenze pagane, di eresie cristiane e di comunità ebraiche. La politica ecclesiastica di Roma, attuata da papa Gregorio Magno (590-604 d.C.),26 mirante a cristianizzare interamente la popolazione, senza però cadere nella giurisdizione di Constantinopoli, non riuscì completamente nel suo intento. Prova vivente del rapporto dialettico di incontro/scontro fra Cristianesimo e Paganesimo può essere considerata la maggior parte delle tradizioni folkloristiche siciliane.

Da quanto fin qui esposto, appare chiaro che è stato raggiunto lo scopo prefissato dagli organizzatori del Convegno. Un primo ritratto dell’identità siciliana diacronicamente esposta dagli interventi è un bel risultato da assegnare alla memoria di Giuseppe Martorana. Le mancanze da segnalarsi nel volume sono di natura formale: la fastidiosa presenza di molti refusi tipografici, il non ricco apparato iconografico di alcuni articoli, nessuna uniformità nel sistema delle note e delle abbreviazioni, e la deprecabile assenza di sommari in lingua straniera. Nella sostanza, il volume ha valore di contributo fondamentale per un moderno approccio allo studio della Sicilia antica.

INDICE DEL VOLUME

Premessa (XI-XII)

Mario Mazza, Identità e religioni: considerazioni introduttive (1-22).

Sebastiano Tusa, Considerazioni sulla religiosità delle popolazioni pre-elleniche siciliane tra il Paleolitico Superiore e l’Età del Bronzo (23-41) [tavv. I-II]

Rosa Maria Albanese Procelli, Pratiche religiose in Sicilia tra proto-storia e arcaismo (43-70) [tav. III]

Pietrina Anello, Ciclopi e Lestrigoni (70-85)

Giuseppe Terranova, Apprestamento cultuale in una tomba castellucciana a prospetto pilastrata dell’area iblea (87-106) [tavv. IV-X]

Domenico Pancucci, I Sicani (107-119)

Nicola Cusumano, I Siculi (121-145)

Stefania de Vido, Gli Elimi (147-179)

Colette Jourdain-Annequin, I Greci – Les Grecs (181-203)

Corinne Bonnet, La religione fenicia e punica in Sicilia (205-216)

Ileana Chirassi Colombo, La Sicilia e l’immaginario romano (217-249)

Giulia Sfameni Gasparro, I culti orientali nella Sicilia ellenistico-romana (251-328) [tavv. XI-XIX]

Sebastiana Nerina Consolo Langher, Religione e Regalità. Tra Grecia, Oriente e Sicilia: fondamenti ideologici e politici nel culto del sovrano ellenistico (329-342)

Vincenzo Lombino, Identità del primo Cristianesimo siciliano (Secoli III-VI) (343-393)

Clara Gebbia, Ebrei in Sicilia nella tarda antichità. Peculiarità (395-408)

Antonio Franco, Intervento (409-410)

Roberta Rizzo, Il vissuto religioso nella Sicilia d’età gregoriana (411-435)

TAVOLE

Notes

1. C. Geertz, “Religion as a Cultural System”, in M. Banton (ed.), Anthropological approaches to the Study of Religion, New York 1979, 1-46.

2. F. Cassola, “Le genealogie mitiche e la coscienza nazionale greca”, in RendNap 28 (1953), 279-304.

3. L. Bernabò Brea, “Eolie, Sicilia e Malta nell’età del bronzo”, Kokalos 22-23 (1976-1977), 52-53.

4. R.M. Albanese Procelli, Sicani, Siculi, Elimi. Forme di identità, modi di contatto e processi di trasformazione, Milano 2003.

5. Sulle fonti di Tucidide, cfr. N. Luraghi, “Fonti e tradizioni nell’archaiologia siciliana (per una rilettura di Thuc. 6, 2-5) Hesperia, 2 (1991), 41-62.

6. Alla stessa conclusione sono giunti sia L. Braccesi (“Gli Eubei e la geografia dell’Odissea: la rotta settentrionale”, in Grecità di frontiera. I percorsi occidentali della leggenda, Padova 1994, 6 ss.) sia P. Anello (“La Sicilia e l’Hesperia”, Kokalos 39-40 (1993-1994), 255-296).

7. In particolare, Scilla e Cariddi nello stretto di Messina, il pascolo dei buoi del dio Sole erano nella zona nord-orientale, le caverne dei Ciclopi alle falde dell’Etna e la sede dei Lestrigoni nella piana di Lentini.

8. P. Anello, “Polifemo e Galatea”, Seia 1 (1985), 11-51.

9. Già oggetto della sua tesi di laurea, in corso di stampa: G. Terranova, Tombe a prospetto monumentale del Bronzo Antico in Sicilia. Contributo per un riesame dell’architettura delle tombe a fronte pilastrata (Università degli studi di Catania, A.A. 1998-1999).

10. P. Orsi, “Nuovi documenti della civiltà micenea e pre-micenea in Italia” Ausonia 1 (1906), 6-7.

11. L. Bernabò Brea, La Sicilia prima dei Greci, Milano 1958, 107, tav. XXXVII.

12. Per le fonti antiche sui Sicani, cfr. Schulten, “Sikaner”, in RE II A, 2, 2459-2460.

13. F. Angelini, “Sicani. Culti e miti”, Mythos 4 (1994), 5-189.

14. L. Agostiniani, “I modi del contatto linguistico tra greci e indigeni” Kokalos 34-35.1, (1988-1989), 167-206.

15. Sul culto della dea Hybla, sicuramente importante per tradizione, non sappiamo nulla, così come ancora tutto da definire è il rapporto tra la dea e gli indovini Galeotai, documentati a Hybla stessa.

16. A. Brelich, “La religione greca in Sicilia”, Kokalos 10-11 (1964-1965), 35-54.

17. E. Manni, Sicilia pagana, Palermo 1963.

18. G. Colonna, “Doni di Etruschi e di altri barbari occidentali nei santuari panellenici”, in I Grandi santuari della Grecia e l’Occidente. Atti del II incontro trentino dedicato a problemi di storia antica (Trento, 12/3/1991), Trento 1993, 43-76.

19. F. Lissarague, “Voyages d’images: iconographie et aires culturelle. Table ronde de Bordeaux (1986)”, REA 89 (1987), 3-4.

20. S. Ribichini e P. Xella, La religione fenicia e punica in Italia, Roma 1994; in particolare sulla Sicilia pp. 43-85.

21. R. Schilling, “La place de la Sicile dans la religion romaine”, Kokalos 10-11 (1964-1965), 259-286.

22. G. Sfameni Gasparro, I culti orientali in Sicilia, (EPRO XXXI) Leiden 1973.

23. Nell’anticipare gli esiti del connubio fra Chiesa ed Impero, Firmico Materno con la sua opera “De errore profanarum religionum”, scritta fra il 346 ed il 350 d.C. ed indirizzata a Costante e Costanzo, figli e successori di Costantino, propose loro di applicare una politica di intolleranza assoluta nei confronti dei pagani (cf. in particolare De err. 20.7).

24. L’articolo è la revisione ed integrazione del precedente lavoro intitolato Presenze giudaiche nella Sicilia antica e tardo-antica, Kokalos, Supplemento XI, Palermo 1996.

25. Si veda già A. Franco, “La città del Mendolito: Trinakie?”, SicA, 32.97 (1999), 199-210.

26. R. Godding, Bibliografia di Gregorio Magno (1890-1989), Roma 1990.