BMCR 2006.12.28

The Tragic Idea

, The tragic idea. Master and use copy. Digital master created according to Benchmark for Faithful Digital Reproductions of Monographs and Serials, Version 1. Digital Library Federation, December 2002.. London: Duckworth, 2006. 1 online resource (158 pages).. ISBN 9781849667616. $23.50.

Il libro appartiene alla collana “Classical Interfaces”, diretta da P. Cartledge e S. Morton Braund, dedicata alla sopravvivenza e all’evoluzione di idee e tendenze culturali di matrice classica nella civiltà moderna e contemporanea, in una prospettiva interdisciplinare e interculturale. L’autore è un docente di greco moderno, con speciale interesse per gli studi comparati.

La ricerca prende le mosse dall’idea tutta moderna che esista “a distinct quality that can be identified as tragic” (p. 7). Da Aristotele a Lessing il ‘tragico’ è stato studiato nel contesto del genere letterario omonimo: è stato confinato nel teatro. Dal Romanticismo tedesco in poi il concetto ha conosciuto però uno sviluppo autonomo, indipendente dal palcoscenico e inerente piuttosto a contrasti irrisolvibili e laceranti del mondo moderno o dell’uomo interiore (tra libertà e necessità, volontà personale e legge universale, forma ed essenza e così via). L’autore prende in esame appunto il tragico come concetto astratto, nel suo spessore filosofico (dal campo morale a quello politico, fino a quello propriamente estetico) e nel suo sviluppo diacronico nel corso di un secolo e mezzo, da Lessing a Heidegger. L’argomento è affrontato sistematicamente in 32 brevi capitoli, riguardanti i singoli pensatori, di cui si considera acquisito il pensiero in generale e si mette a fuoco l’interesse specifico per il tragico. Ciascun capitolo si apre con un brano dell’autore in esame, citato testualmente come aforisma emblematico. A tutta prima la trattazione risulta frammentaria, nella misura in cui si frantuma in tante piccole unità apparentemente autonome, tra le quali tuttavia a ben guardare non mancano convergenze e intersezioni, tali da dare l’impressione di una superiore unità: quasi un’ideale conversazione (non scevra di punte polemiche) tra figure e opere cronologicamente e culturalmente contigue, ciascuna con una propria identità peculiare.

Dal Rinascimento in poi si sviluppa un acceso dibattito sui caratteri e sugli scopi del genere tragico, con costante riferimento al teatro classico e ad Aristotele. Al culmine di questo percorso si colloca Lessing, che afferma il valore morale del dramma, a cui attribuisce un compito formativo-nazionale: “the harmonization of national culture” (p. 20). Il potere educativo sprigionato dal processo creativo è ribadito da Schiller, che muove dal concetto kantiano del sentimento estetico come superamento del determinismo naturale: la tragedia rappresenta “the paradigmatic art form”, a cui spetta la responsabilità di propiziare “the moral edification of the national audience” (p. 30). Egli non ignora che il fulcro del tragico è un doloroso conflitto, pur capace di comunicare piacere al pubblico; ma questa lacerazione, “the strife between freedom and necessity”, si lascia superare “by a consciousness of higher harmony” (p. 31). Nel tentativo di inquadrare il conflitto in un ordine superiore, Schiller sembra avvicinarsi a Eschilo; non è lontano però nemmeno da Sofocle, o meglio, da un modo moderno (suggestivo e probabilmente non illegittimo) di leggere Sofocle, in quanto individua “not the paradox of tragic pleasure but the paradox of tragic ethics”: l’affermazione della libertà e della dignità umana mediante la coraggiosa sopportazione della sofferenza (p. 32). Proseguendo su questo percorso, Schiller si distacca poi da Kant per rivendicare “the philosophical emancipation of the aesthetic judgment from cognitive and moral determination”, cioè il carattere amorale del processo artistico e in particolare del tragico, che esprime “a revolt of the free will against fate” (p. 34-35).

Schelling si sofferma sull’eroe tragico, capace “to admit to a crime that is the result of destiny and to embrace the fate of a criminal” (p. 38). Come Aristotele, Schelling prende a modello Edipo, in particolare il personaggio di Sofocle: “a hero who is responsible for a certain crime (and not just an error) yet ethically innocent” (p. 39). Il concetto di “unavoidable crime” è ripreso da Hegel, che identifica il tragico (come ogni altro aspetto del mondo o, se si preferisce, dello Spirito calato nel mondo) in un processo triadico, che muove dal conflitto tra individuo e destino, passa attraverso il potere riconciliante dell’amore propugnato dal Cristianesimo e perviene a un superiore ricongiungimento sul piano morale: “self-division in fate, reconciliation in love and affirmation in ethics” (p. 51). Sullo sfondo dell’Idealismo si muove anche Hölderlin, che risale ai filosofi presocratici, Eraclito e soprattutto Empedocle. L’essenza tragica della vita ha origine nell’unità primordiale di tutte le cose, spezzata dall’aspirazione delle singole parti a separarsi e ad assumere un’individualità: “tragedy occurs at the point of maximum disunity” (p. 43). L’eterno divenire del mondo è racchiuso in un ciclo, che si ripete in infinitum. Il tragico costituisce “the union of the ideal-individual-finite-old and the real-total-infinite-new in a mythic state”, in cui le due forme poetiche antiche, epica e lirica, sono ancora unite (p. 46).

Per Schopenhauer, figlio eppure ostinato oppositore del pensiero hegeliano, il tragico corrisponde al vero modo di essere del mondo, agitato da innumerevoli mali e dolori: “by depicting great misfortune and unjust suffering, tragedy reveals the terrible spectacle of life, the tragic condition of the humanity”, vale a dire “the antagonism of the voracious will against itself” (p. 55). Tuttavia l’arte ha una funzione straniante e catartica: infatti, consente all’uomo di allontanarsi idealmente dal mondo e di tenere a freno i furiosi impulsi interiori, che normalmente lo tormentano. Il tragico consiste quindi “in the process of objectification of the will from blind urge to self-knowledge to self-destruction” ( ibidem). Ma il primo a calare il tragico nel quotidiano è Kierkegaard, che pone il problema sul piano etico piuttosto che estetico, distinguendo “tragic sorrow” (il dolore inflitto all’uomo dall’esterno) e “tragic pain” (il tormento interiore del rimorso). Egli si sente personalmente protagonista di un dramma e si identifica con un personaggio tragico, specificamente con Antigone, che “inherits the sins of her father and suffers in part because her destiny is to experience the wrath of the gods for his guilt” (p. 67). Si vede in filigrana la “spina nelle carni”, il terribile e misterioso peccato, che Kierkegaard sente gravare su di sé.

Il pensiero marxista, anch’esso figlio e nemico dell’idealismo hegeliano, sconfina in campo estetico con Wagner, che accompagna il mestiere di compositore e musicista di successo con frequenti, infiammati interventi pubblici. L’arte deve essere liberata dalla gestione capitalistica, che la riduce a vile produzione edonistica e commerciale, per assurgere a una dimensione altamente etica, per esprimere cioè “the aspirations of emancipated humanity” (p. 73). Il suo modello è il mondo greco, autenticamente democratico, che trova riscontro nel dramma classico, considerato “the perfect work of art”, per essere “the free expression of a free community” (p. 74). Wagner auspica una rinascita dell’arte e specialmente della tragedia, in una con la rivoluzione sociale e l’emancipazione della popolazione: arte e rivoluzione devono perseguire una meta comune, formare “the strong handsome Man, to whom Revolution shall give his Strength, and Art his Beauty” (p. 75). Prima fervente ammiratore di Wagner, poi suo strenuo oppositore, Nietzsche giudica ugualmente il dramma greco “the greatest aesthetic phenomenon”: qui il suo gusto di filologo si incontra e si accorda col suo genio di filosofo (p. 81). Il suo approccio però non è più filologico e nemmeno estetico in senso stretto: egli sposta il problema sul piano metafisico. La tragedia è concepita come una potente e felice sintesi delle due opposte facce della Grecità: l’armonia apollinea e l’euforia dionisiaca. “Harmony results from the conflict of opposing forces”: tuttavia l’arte drammatica non ne costituisce la conciliazione, “but their precarious balance” (p. 84).

La psicoanalisi freudiana cerca e offre un’altra chiave di lettura della tragedia, come trasposizione artistica delle forze e delle tendenze operanti nella crescita psicologica della persona e della società: Edipo incarna desideri e rimorsi propri dello sviluppo individuale di ogni uomo; mentre il rapporto tra l’eroe tragico e il coro rispecchia un processo collettivo di superamento dei crimini commessi o desiderati, che vengono proiettati sul singolo, destinato a diventare il “redentore” del proprio popolo (p. 89). L’evoluzione stessa dell’umanità dalla felicità originaria alla società civile è una “continuing tragic story”, caratterizzata dalla repressione delle forze istintive, quali l’aggressività e la sessualità (p. 90). Proprio nel periodo a cavallo tra Marx e Freud, non a caso, il tragico è calato nel quotidiano da intellettuali di diverso orientamento, come il drammaturgo tedesco Friedrich Hebbel e il simbolista Maurice Maeterlinck, il primo dei quali parla di “tragedy of common life” e, in chiave sociale, “tragedy as the historiography of crisis” (p. 71), mentre il secondo “identifies the tragic element not in the extraordinary occurence but in ordinary existence” (p. 85). Una proposta sospesa tra metafisica idealistica e analisi esistenziale è avanzata da Georg Simmel, che individua la tensione tragica nella dialettica tra la personalità individuale e la struttura sociale o, per usare le sue parole, “between life process and generated forms”, dal momento che “exterior worlds of religious, social, philosophical and other structures and values always seek to draw humans into them, dissolve their individuality and make them obey their dictates” (p. 98-99).

Il problema è riportato sul piano metafisico da Lukács, che aspira a restituire al tragico il suo spessore morale, il suo originario prestigio. Egli concepisce il dramma come “mystery play”, che realizza un compromesso tra misticismo e storicismo, tra spirito religioso e arbitrio del fato. Il tragico si rivela quindi “the miracle of accident which both fulfils the longing for selfhood and advises the soul of his boundaries, thus bringing it to consciousness and making the essential human nature concrete” (p. 105). Pienamente consapevole del dibattito filosofico precedente si mostra Scheler, che vede nel tragico “not an aesthetic phenomenon but an essential element of the universe itself” (p. 115). La logica intrinseca della “tragic necessity”, la catastrofe inevitabile, non si identifica nella struttura deterministica della natura o nella libera volontà umana, ma in una causalità trascendente e imperscrutabile: “the tragic does not allow for a clear attribution of guilt”, poiché i personaggi, “driven by inner necessity, fulfil their duty nobly to the best of their abilities”, tanto che moralmente “they appear blameless” (p. 117). Il sostrato dell’Idealismo tedesco è superato da Benjamin, che parla pur sempre di un processo dinamico, che si svolge attraverso tre stadi: “fate, sacrifice, atonement”. L’eroe tragico combatte contro il fato, corrispondente al mitico diritto imposto dagli dei olimpici; egli diviene quindi oggetto di un sacrificio, che redime il suo popolo. Il compito dell’eroe è sancito dal suo silenzio: “the hero is caught between the legal language of the ancient statues […] and the yet uncreated language of a distant community” (p. 126). Il punto d’arrivo di questo percorso ideale è Heidegger, che risale ai fondamenti del mondo culturale greco, i filosofi presocratici come Anassimene e Parmenide, per arrivare poi a Sofocle e al suo modo significativo ed enigmatico di definire l’uomo: l’analisi linguistica diventa la chiave di lettura della realtà, anzi della peculiare visione della realtà filtrata dalla mentalità ellenica. Come si vede, il concetto di tragico, pur svincolato da tempo dall’omonimo genere letterario per essere calato nel mondo reale, non si emancipa mai del tutto dal legame genetico e semantico col dramma vero e proprio, soprattutto col dramma classico, che rimane punto di riferimento e termine di paragone privilegiato.

In generale lo schema di fondo del libro, col rapido susseguirsi di tanti brevi capitoli, rischia di sacrificare lo spessore dei singoli autori, con prevalenza della quantità sulla qualità. L’opera suscita un’impressione di piacevole lettura, non senza parti di maggiore consistenza filosofica, ma senza velleitarie complicazioni speculative. Tuttavia questa caratteristica tende a degenerare nell’eccessiva essenzialità e finanche nella superficialità. Più spazio si poteva concedere, ad esempio, a un autore di primo piano in campo estetico, con un particolare interesse per il tragico, come Lessing (tre pagine). È lasciata stranamente nell’ombra la notissima e discutibile interpretazione hegeliana dell’ Antigone, fondata sulla lotta tra legge familiare e legge statale. In questi e in altri casi sarebbe stato utile adoperare e suggerire al lettore un più ampio panorama bibliografico, con titoli specifici sui principali problemi. Inoltre sorprende che la bibliografia citata nell’apposita sezione (pp. 149-56) sia tutta rigorosamente inglese (comprese le traduzioni delle opere scritte in altre lingue): la letteratura comparata presuppone la disponibilità e forse la necessità di una padronanza linguistica vasta e varia, che non cede alle esigenze di una strategia editoriale divulgativa. Delle opere filosofiche e letterarie si dovevano citare, prima che le traduzioni, le principali edizioni critiche in lingua originale, con la saggistica delle più diverse nazionalità. Nonostante questi limiti, nel complesso il lavoro risulta ben condotto, con momenti veramente felici. La tematica di così forte suggestione ne consiglia vivamente la lettura.