BMCR 2006.12.10

H.-G. Pflaum, un historien du XXe siècle

, H.-G. Pflaum, un historien du XXe siècle: actes du colloque international, Paris les 21, 22 et 23 octobre 2004. Ecole pratique des hautes études (France). Sciences historiques et philologiques. III--Hautes études du monde gréco-romain, 37. Genève: Droz, 2006. 542 pages: illustrations, maps; 23 cm. ISBN 2600010998. €148.00 (pb).

[Gli autori e i titoli sono elencati alla fine della recensione.]

Il volume “H.-G. Pflaum: un historien du XXe siècle”, raccoglie ventisei contributi e costituisce un’opera notevole per la qualità degli interventi presentati in occasione di un congresso internazionale organizzato a Parigi nell’ottobre 2004 per ricordare l’insigne storico ed epigrafista Hans Georg Pflaum. L’estrema diversità delle esperienze e dei risultati presentati, corredati quasi sempre da esaurienti apparati bibliografici, contribuiscono ad accentuare l’importanza della raccolta per qualunque studioso interessato alla storia romana.

La figura di Pflaum è analizzata da differenti angolazioni: gli eventi politici che lo portarono a Parigi dalla natia Berlino, la sfera privata rappresentata dalla moglie Mia e dalla figlia Marie-Monique, quella lavorativa di docente universitario alla Sorbona.

La breve introduzione di Ségolène Demougin (pp. 7-11), sottolinea l’apporto innovatore di Pflaum la cui produzione scientifica, specie quella relativa alle carriere procuratorie equestri, continua ad essere un punto di riferimento imprescindibile per chiunque voglia affrontare una qualsivoglia ricerca nell’ambito degli studi storici antichi. Il metodo da lui propugnato si basa sulla raccolta sistematica dei documenti (siano essi epigrafi, testi letterari, papiri o monete), su una loro analisi rigorosa e sul rifiuto di ipotesi avventate non suffragate da dati certi e incontrovertibili. La Demougin, riferisce quanto il Pflaum amava dire circa il motivo che lo aveva spinto a studiare le carriere procuratorie equestri, ammettendo di averlo fatto perché non c’era troppa bibliografia su di esso.

Breve ma intenso è l’articolo di Pierre Salama, “Du côté de chez Pflaum” (pp. 13-17), che apre la serie dei contributi veri e propri ed analizza la galassia Pflaum, intendendo con questo termine la sua famiglia composta dalla moglie Mia e dalla figlia Marie-Monique.

In “Hans-Georg Pflaum et l’Afrique romaine: essai de bilan d’une oeuvre et d’une approche” (pp. 19-37), Claude Lepelley, si propone di tracciare un bilancio dell’apporto di Pflaum allo studio dell’Africa romana, ben evidenziato dai quattro contributi onomastici da lui dedicati alla confederazione cirtense che dimostrano come Pflaum sia riuscito a fornire un’immagine esatta della composizione della popolazione. La comparazione da lui operata tra la popolazione della confederazione e quelle di altre regioni, come pure la constatazione che in queste città vi erano pochi peregrini, gli permisero infatti di evidenziare l’esistenza di rapporti molto articolati tra coloni e indigeni che ottennero la cittadinanza romana.

Xavier Dupuis in “Les Inscriptions latines de l’Algérie” (pp. 39-47) rimarca l’ulteriore contributo fornito da Pflaum agli studi sull’Africa romana mediante la pubblicazione dei tre volumi del II tomo delle Inscriptions latines de l’Algérie (ILAlg), opera iniziata da Gsell nel 1916. Questi volumi costituiscono una parte non trascurabile dell’opera di Pflaum, soprattutto per il gran numero di documenti che vi sono raccolti, un totale di circa diecimila iscrizioni, la cui ricchezza è paragonabile solo a quella dell’Italia e di Roma.

Il ricordo dei lavori “africani” di Pflaum prosegue con il contributo di Paul Corbier “Cuicul, une ville moyenne prospère sous les Antonins et les Sévères” (pp. 49-73), che paragona Cuicul, archetipo di colonia di veterani, a Timgad e Cirta, affermando che quest’ultima fu la prima città peregrina della Numidia a conoscere una promozione giuridica che la portò nel 27 a.C. ad ottenere da Ottaviano il titolo di colonia romana. La data della deduzione coloniaria di Cuicul è ancora oggetto di dibattito tra chi come il Cagnat e il Fevrier la vuole fondata da Nerva e chi, come il Gascou, ritiene che al pari di Timgad fu fondata da Traiano. Va detto che Cuicul e Timgad sono creazioni ex nihilo, non succedono cioè ad alcun preesistente agglomerato urbano.

Una revisione degli studi onomastici di Pflaum (una dozzina, tutti dedicati all’Africa) è operata da Monique Dondin-Payre che nel contributo “L’onomastique africane vue par H.-G. Pflaum: une nouvelle école?” (pp. 75-88) evidenzia come, malgrado i progressi recentemente fatti in ambito onomastico, gli studi di Pflaum siano ancora di grande attualità. Il metodo da lui adottato consisteva nel censire tutti i gentilizi; isolare i gentilizi imperiali e quelli dei grandi personaggi (soprattutto i governatori provinciali) legati alla regione considerata; indagare sugli individui attestati anche altrove; individuare i loro schiavi e liberti; censire i gentilizi specifici della località considerata; valutare la proporzione di cittadini, peregrini, liberti e schiavi; studiare i cognomi, soprattutto quelli collegati alle attività produttive, quelli autoctoni e quelli grecanici.

Jean Pierre Laporte nel contributo “N’gaous (Numidie): deux inscriptions nouvelles” (pp. 89-109) esamina due epigrafi provenienti dalla Numidia. La prima, incisa su una stele, menziona un molchomor, un particolare tipo di sacrificio collegato al dio Saturno ed attestato in Africa sia in epoca punica che in età romana. La seconda consiste in una dedica posta dai praedia di un’importante famiglia di notabili del Basso Impero al vir perfectissimus Aurelius Marcellinus.

Apre la serie di relazioni di argomento militare l’articolo di Yann Le Bohec “L’armée romaine et la Numidie septentrionale dans l’oeuvre de Hans-Georg Pflaum” (pp. 111-135), in cui l’autore disegna un organigramma di tutti i soldati che hanno compiuto il loro servizio militare in Africa, enfatizzando il contributo fornito da Pflaum in quest’ambito, grazie anche alla redazione degli indici delle “Inscriptions latines d’Algerie”.

Pierre Cosme “Qui commandait l’armée romaine?” (pp. 137-156) esamina il problema più volte sollevato da Pflaum relativamente alla difficoltà di scegliere comandanti in grado di controllare truppe sempre più numerose e di etnie differenti. E’ incontestabile infatti che mentre in età giulio-claudia quasi tutti i soldati, dal semplice legionario al legato militare, erano di origine italica, nel III sec. d.C. si assiste ad una progressiva provincializzazione dell’esercito tanto che la maggior parte dei legionari nascono negli accampamenti e i legati provengono quasi tutti dalle province, anche se si tratta di quelle più romanizzate dell’impero. Dato che l’esistenza di buoni rapporti tra le truppe e il proprio comandante era importantissima per il buon esito di una campagna militare, il Cosme afferma che varrebbe la pena di interrogarsi sull’impatto che questa provincializzazione ebbe relativamente a questo ambito.

Il contributo di Patrick Le Roux “H.-G. Pflaum, l’armée romaine et l’empire” (pp. 157-187) si articola in tre parti. Nella prima (L’institution militare reflet de l’empire) viene analizzato il principato di Augusto e chiarito cosa esso significò per Roma. Il successore di Cesare ideò il cursus publicus, un vero e proprio servizio di informazioni capace di annullare le distanze tra Roma e gli altri centri dell’impero. Quanto alla creazione da parte di Augusto e Tiberio delle province procuratorie, si osserva che il motivo della loro istituzione non è ancora chiaro, sebbene il Pflaum ritenesse che essa si giustificasse con la crescente mancanza di contingenti legionari e la progressiva necessità di avvalersi di truppe ausiliarie. Nella seconda (Rangordnung et valeur de l’armée romaine impériale) si ricorda la sincera ammirazione del grande storico nei confronti dell’esercito romano la cui forza risiedeva principalmente nella disciplina e nelle innovazioni strategiche. Nella terza ed ultima parte (Vingt-cinq ans après: une histoire renouvelee?) si ribadisce che il regime augusteo, su cui l’esercito vegliava con attenzione e sollecitudine, fu una vera e propria monarchia, certamente adattata alla tradizione romana, ma pur sempre una monarchia.

Nel suo “Lunus et Luna. En marge des dernières émissions monétaires de Caracalla (215-217)” (pp. 189-205) Claude Brenot, ricordando la grande passione di Pflaum per la numismatica, analizza una moneta recante sul rovescio la descrizione della visita fatta da Caracalla al santuario del dio Sin-Lunus, antica divinità sumerica ed accadica adorata a Carre a partire dal II millennio a.C.

Sempre di argomento numismatico è il contributo di Sylviane Estiot ” Une campagne germanique de l’empereur Probus: l’atelier de Ticinum en 277-278″ (pp. 207-252) in cui la studiosa afferma che grazie all’analisi approfondita della terza emissione monetaria dell’atelier di Ticinum, è ora possibile collocare la campagna germanica di Probo tra la fine del 277 e l’inizio del 278 d.C.

Uno degli aspetti più originali dell’opera di Pflaum è senza dubbio quello che lo vede impegnato nello studio delle carriere procuratorie equestri. Sabine Lefebvre in “Procurateurs en Hispanie. Les fastes procuratoriens des Hispaniae: bilan des recherches depuis H.-G. Pflaum” (pp. 253-284), afferma che nonostante la quantità di nuovi documenti rinvenuti successivamente alla morte di Pflaum, il suo studio sulle carriere procuratorie resta ancor’oggi un’opera di grande attualità, imprescindibile per chi voglia affrontare questa problematica.

In “Le Marbre de Thorigny, une oeuvre au clair” (pp. 285-303) Stephane Benoist torna su un lavoro di Pflaum del 1948, piccolo per dimensioni ma grande quanto al contenuto: un vero e proprio faro nella panoramica degli studi storici antichi per la sua lucidità e per il rigore del metodo prosopografico. Attraverso lo studio di una base di statua ascrivibile all’inizio del III sec. d.C., lo studioso delineava infatti la struttura dell’elite romana della Gallia di quel periodo, i legami esistenti tra le diverse città e l’amministrazione provinciale, infine la situazione dell’impero in un’epoca compresa tra i principati di Elagabalo e Gordiano III.

Bernard Remy “La dénomination des habitants de la colonie de Valence (Narbonnaise)” (pp. 305-341) ribadendo la competenza enorme dimostrata da Pflaum nelle ricerche onomastiche e facendo proprio il metodo utilizzato dal grande studioso, analizza il piccolo dossier di un centro della Gallia Narbonense (in tutto 179 nomi).

Scopo della relazione a firma di Élisabeth Deniaux “Épigraphie latine et émergence d’une colonie: l’exemple de la colonie romaine de Buthrote” (pp. 343-367), è quello di richiamare l’attenzione sull’importanza dell’epigrafia per la conoscenza della realtà sociale della colonia romana di Buthroto: infatti è proprio grazie ad un’iscrizione menzionante il prefetto giusdicente Quinto Cecilio Sosibio che viene fatta nuova luce sulle magistrature municipali di quel centro. François Berard “Quelques fidèles de Jupiter Depulsor à Lyon” (pp. 369-391) focalizza l’attenzione su un argomento di carattere religioso, Jupiter Depulsor, più di cinquant’anni dopo l’articolo che Pflaum gli consacrò nei Mélanges Isidore Lévy pubblicati nel 1955. Berard analizza due documenti epigrafici lionesi che ricordano questa divinità.

Con un’analisi chiara ed esaustiva, Hans Lieb “Publicum coloniae Rauricae CIL, 13, 5283 und AE, 1991, 1264” (pp. 393-398) torna su due documenti epigrafici recanti la sigla PCR e presenta una nuova proposta di scioglimento sulla base anche del confronto con l’iscrizione pisana CIL, 11, 1476.

Xavier Loriot “Les governeurs du Pont de Galline à Julien (260-263)” (pp. 399-425) affronta un altro tema caro a Pflaum, quello dei governatori provinciali. Egli presenta, infatti, l’aggiornamento dei fasti dei governatori del Ponto (il cui numero è oggi salito a tredici dagli otto noti a Pflaum) nell’età compresa tra Gallieno e Giuliano l’Apostata.

Breve ma ricco di spunti interessanti è il contributo di François Paschoud “Hans-Georg Pflaum et l’Historie Auguste” (pp. 427-433), che ricorda la partecipazione di Pflaum al primo Congresso internazionale sull’Historia Augusta tenutosi a Bonn nel 1972 e menziona i nove articoli quasi esclusivamente di carattere prosopografico da lui consacrati all’argomento.

Anne Daguet-Gagey “Auguste et la cura operum publicorum” (pp. 435-456) partendo da Svetonio (Aug., 37) e Giovanni Lydo (magistrat.), unici autori ad evocare le origini augustee della cura operum publicorum, afferma che per comprendere appieno la natura e gli ambiti specifici di questa funzione è necessario ricorrere alla documentazione epigrafica, la sola in grado di fornire informazioni precise circa i suoi esordi.

“Le virtù del governatore provinciale nelle iscrizioni latine da Augusto a Diocleziano” è il titolo del contributo offerto da Silvio Panciera (pp. 457-484), il quale prende l’avvio da un documento già studiato da Pflaum, l’iscrizione onoraria di Quinto Domizio Marsiano, procuratore ducenario vissuto ai tempi di Marco Aurelio. In base al dossier epigrafico da lui raccolto (in lingua latina e compreso tra la seconda metà del II e la prima metà del III sec. d.C.), Panciera afferma che le virtù richieste ai governatori provinciali erano soprattutto tre e precisamente: l’innocentia, la iustitia e la benignitas.

Werner Eck rende omaggio al grande studioso e al suo lavoro sulle carriere equestri con l’articolo “Sozio-politische Macht und öffentliche Repräsentation: der equester ordo” (pp. 485-502); egli paragona il modo in cui senatori e cavalieri si fanno onorare in pubblico e, tenendo conto dell’insieme delle iscrizioni relative ad un dato personaggio, ribadisce la necessità di uno studio a tutto tondo che comprenda ad esempio il luogo in cui le epigrafi furono collocate e la tipologia dei dedicanti.

Mireille Corbier “Titres et rangs” (pp. 503-513) accenna all’importanza che ebbe per la sua carriera di studiosa la relazione “Titulature et rang social sous le Haut-Empire” presentata da Pflaum al congresso “Groupes sociaux, ordres et classes dans l’Antiquité gréco-romaine” organizzato a Caen nel 1969. In quell’occasione Pflaum osservò che l’appellativo ‘nobilissimus’, attestato per la prima volta su un miliare di Commodo del 186 d.C., mentre sotto i Severi avrebbe designato il figlio dell’imperatore, all’inizio del IV sec. d.C., collegato a ‘puer / femina’, sarebbe stato riferito anche ad altri componenti della famiglia imperiale.

L’ultimo contributo presente in questi atti dedicati a Hans-Georg Pflaum è quello di Geza Alföldy “Hans-Georg Pflaum, der Historiker: das römische Kaiserreich aus der Sicht eines Gelehrten des 20. Jahrhunderts” (pp. 515-532). Vita est historiae magistra, sottolinea Alföldy commentando il breve articolo pubblicato da Pflaum nel 1963 nella “Propyläen Weltgeschichte” che evidenzia uno storico originale sotto diversi aspetti, in grado di fornire una visione dinamica dell’impero e della sua classe dirigente, del contributo offerto da alcuni imperatori allo sviluppo dell’economia e della capacità d’integrazione dimostrata da Roma in quel periodo.

Il volume offre una grande varietà di spunti per ulteriori nuove ricerche. Nelle conclusioni del colloquio a lui affidate (pp. 533-539), John Scheid sottolinea come tutti gli argomenti trattati in questa sede evidenzino la poliedricità scientifica di Pflaum che lo portò ad occuparsi non solo del governo e dell’amministrazione imperiale romana, ma anche dell’organizzazione provinciale, della religione, dell’esercito e di un ceto sociale importante come quello equestre.

CONTENUTI

Ségolène Demougin, Introduction.

Pierre Salama, Du côté de chez Pflaum.

Claude Lepelley, Hans-Georg Pflaum et l’Afrique romaine: essai de bilan d’une oeuvre et d’une approche.

Xavier Dupuis, Les Inscriptions latines de l’Algérie.

Paul Corbier, Cuicul, une ville moyenne prospère sous les Antonins et les Sévères.

Monique Dondin-Payre, L’onomastique africane vue par H.-G. Pflaum: une nouvelle école?

Jean Pierre La porte, N’gaous (Numidie): deux inscriptions nouvelles.

Yann Le Bohec, L’armée romaine et la Numidie septentrionale dans l’oeuvre de Hans-Georg Pflaum.

Pierre Cosme, Qui commandait l’armée romaine?

Patrick Le Roux, H.-G. Pflaum, l’armée romaine et l’empire.

Claude Brenot, Lunus et Luna. En marge des dernières émissions monétaires de Caracalla (215-217).

Sylviane Estiot, Une campagne germanique de l’empereur Probus: l’atelier de Ticinum en 277-278.

Sabine Lefebvre, Procurateurs en Hispanie. Les fastes procuratoriens des Hispaniae: bilan des recherches depuis H.-G. Pflaum.

Stephane Benoist, Le Marbre de Thorigny, une oeuvre au clair.

Bernard Remy, La dénomination des habitants de la colonie de Valence (Narbonnaise).

Élisabeth Deniaux, Épigraphie latine et émergence d’une colonie: l’exemple de la colonie romaine de Buthrote.

François Berard, Quelques fidèles de Jupiter Depulsor à Lyon.

Hans Lieb, Publicum coloniae Rauricae CIL, 13, 5283 und AE, 1991, 1264.

Xavier Loriot, Les governeurs du Pont de Galline à Julien (260-263).

François Paschoud, Hans-Georg Pflaum et l’Historie Auguste.

Anne Daguet-Gagey, Auguste et la cura operum publicorum.

Silvio Panciera, Le virtù del governatore provinciale nelle iscrizioni latine da Augusto a Diocleziano. Werner Eck, Sozio-politische Macht und öffentliche Repräsentation: der equester ordo.

Mireille Corbier, Titres et rangs.

Geza Alföldy, Hans-Georg Pflaum, der Historiker: das römische Kaiserreich aus der Sicht eines Gelehrten des 20. Jahrhunderts.

John Scheid, Conclusions.