Il volume propone un’ampia e approfondita riflessione su alcune figure e strumenti istituzionali tipiche della res publica romana: l’interrex, il dictator e la prorogatio imperii, indagati, per motivi che vengono chiariti nel corso della trattazione, nel periodo ricompreso tra la nascita della repubblica e la fine dell’epoca annibalica (con alcune riflessioni per il periodo tardo repubblicano).
L’Autore si pone come obiettivo principale quello di andare al di là di una semplice descrizione dei meccanismi, in parte peraltro ampiamente discussi in dottrina, che portavano all’attivazioni di tali strumenti in momenti in emergenza istituzionale. Piuttosto, il suo scopo è quello di chiarire, di volta in volta e con il sostegno di un’ampia e dettagliata casistica (oltre che della bibliografia relativa), il ruolo che il senato aveva nel determinare il ricorso a questi stessi strumenti. Nel contempo, lo studio vuole anche definire il profilo di colui che, di volta in volta, avrebbe ricevuto poteri straordinari e delle funzioni ad essi collegate.
L’analisi, dunque, procede da un approccio tecnico-istituzionale ad una visione più ampia e di tipo politico, in una dialettica in cui il primo serve a spiegare e meglio comprendere la seconda.
L’Autore intende infatti porre in risalto come il ricorso ad uno degli strumenti tipici per la gestione del governo in una situazione emergenziale, causata da motivi di crisi istituzionale come anche militare, fosse saldamente nelle mani del senato. Da questo punto di vista, la funzione dei magistrati in carica e delle assemblee popolari appaiono particolarmente ridotti e di natura più politica che effettivamente decisionale.
È quindi opportuno porre l’accento, sin da ora, su uno dei pregi più evidenti del volume recensito, che ne costituisce la cifra generale: esso declina una rigorosa e puntuale indagine di tipo istituzionale ad un’interpretazione di natura politica degli strumenti istituzionali a cui il senato, di concerto o meno con gli altri organi dello stato, poteva ricorrere in determinate circostanze.
Dopo un’ampia introduzione, in cui l’Autore chiarisce la genesi, il metodo e la finalità della sua indagine, il primo capitolo è dedicato allo studio dell’istituto dell’interregnum. Dopo aver richiamato il ruolo del patriziato nell’individuazione dell’interrex in epoca monarchica, si passa all’analisi della casistica relativa a partire dai primi casi attestati per il V secolo a.C. Si pone in risalto come i senatori patrizi persistessero a giocare un ruolo di assoluto predominio nella scelta dell’interrex nei momenti in cui i magistrati supremi, per cause oggettive (decadenza, morte, etc.), fossero impossibilitati a convocare le elezioni.
L’analisi pone in risalto come l’istituto dell’interregno venga progressivamente emarginato con la fine della guerra annibalica, quando l’introduzione di nuovi strumenti di gestione del potere (emergenziali e no), come la prorogatio imperii, indusse in senato a rinunciare il ricorso all’interrex, come anche al dictator, in favore di istituti più facilmente gestibili ed efficaci nei momenti di crisi, come anche in quelli di normale amministrazione.
Seppur concentrata prevalentemente sul periodo alto e medio repubblicano, l’indagine sull’istituto dell’interregnum si spinge fino alla tarda repubblica, in considerazione non solo del fatto che nel corso del II secolo a.C. esso cadde progressivamente in disuso, ma anche della semplice constatazione che in negli ultimi decenni della repubblica si tornò a nominare, peraltro in maniera quantitativamente cospicua, interreges per gestire i frequenti momento di vacanza magistratuale, dovuti all’acuirsi della lotta politica di quegli anni. Si pone allora in risalto come l’interregnum, che sin dalla sua rifunzionalizzazione all’inizio dell’epoca repubblicana era stato uno strumento di spiccata rilevanza senatoria (e più specificamente patrizia,) diventi un mezzo di competizione politica, talvolta anche contro i desiderata e le indicazioni del senato. Così, ad esempio, in relazione all’interregnum dell’82 a.C. (p. 72), determinato dalla morte di entrambi i consoli di quell’anno (avvenuta prima dell’indizione di regolari consultazioni comiziali), l’ascesa di Silla alla dittatura fu dovuta (anche) ad uso tanto irregolare quanto innovativo dello strumento dell’interregnum, a dimostrazione di come il senato, che in passato aveva giocato un ruolo decisivo in questo specifico ambito, in quel momento ebbe soprattutto una funzione meramente formale di ratifica: con un senatus consultum, infatti, si dispose la nomina di un interrex, Valerio Flacco, il quale non provvide all’indizione di nuove elezione, quanto piuttosto si occupò della rogatio della legge istitutiva della dittatura di Silla. Si trattò, a tutti glie effetti e come sottolineato giustamente dall’Autore, di un provvedimento “sostanzialmente eversivo dei principi repubblicani” (p. 72).
Ancora nel 78 a.C., l’interrex Appio Claudio, nominato dopo la sopravvenuta scadenza del mandato del console M. Emilio Lepido, fu investito di compiti eccedenti la mera gestione delle prossime elezioni, dovendo piuttosto far fronte alla minaccia rappresentata dall’ex console Lepido. Se qui si osserva un ulteriore esempio di uso irregolare dell’istituto dell’interregnum, ormai svincolato dal limitato ambito elettorale, si sottolinea, per contro, il ritorno del ruolo determinante del senato, poiché fu con un senatus consultum ultimum, licenziato per iniziativa del princeps senatus Marcio Filippo, che furono definiti i compiti straordinari dell’interrex, che in quell’occasione andavano ben oltre quelli istituzionalmente tipici degli interreges (p. 73).
In generale, si osserva come l’interregnum andò incontro ad una progressiva rifunzionalizzazione tra V e I secolo a.C., che procedette parallelamente alla contemporanea ridefinizione del potere senatorio nella scelta dell’interrex e delle sue specifiche funzioni. Si pone allora in risalto come il nuovo aspetto assunto dal senato in seguito allo scontro tra patrizi e plebei privò l’interegnum della sua originale accezione politica (essenzialmente di argine all’elemento plebeo), mantenendo comunque una declinazione di tipo politico (sebbene non orientata nel senso originario), mentre, infine, al tramonto della repubblica, esso perse gran parte dei suoi connotati originali, in linea, possiamo aggiungere, con l’evoluzione che interessò nello stesso momento e nelle medesime condizioni altri istituti repubblicani.
Anche l’ampio capitolo successivo, dedicato alla dictatura, propone un’indagine che si svolge tra puntuali considerazioni di tipo giuridico-istituzionale e riflessioni di tipo politico. Introdotta nel V secolo a.C. per far fronte ad emergenze militari e per meglio contrastare l’ostruzionismo politico esercitato dalla componente plebea del popolo, la magistratura straordinaria della dittatura, le cui origini vengono ricollegate non solo al comandante dell’antica Lega Latina, ma anche alle funzioni del magister populi di epoca monarchica, viene ancora una volta vista nella sua valenza politica, oltre che nella sua dimensione propriamente istituzionale.
Come nel caso dell’interregnum, anche nel caso della dittatura si pone in risalto come essa fosse, in ultima analisi, uno strumento di controllo nelle mani del senato, al quale spettava la scelta di nomina di un dittatore mediante un senatus consultum rivolto ad un magistrato supremo (console o tribuno consolare). L’Autore sottolinea come in quei casi di epoca medio repubblicana, riportati dalla tradizione liviana, in cui la scelta del dittatore si configurasse come vero e proprio attacco al senato in realtà si debba pensare ad una certa discrezionalità lasciata al magistrato cui era indirizzato il decreto senatorio relativo alla nomina del dittatore. Infatti, il senato conservava sempre per sé la possibilità di annullare la creatio del dittatore per (supposti) motivi di irregolarità formale.
In generale, il senato aveva ampie possibilità di definire il ruolo del dittatore, oltre che la legittimità della sua nomina. L’Autore riporta infatti i casi in cui fu per volere del senato che alle originarie competenze e funzioni del dittatore se ne aggiunsero altre; ancora alla volontà del senato si possono riportare casi di proroga della carica oltre i confini temporali originariamente indicati. Nell’interpretazione dell’Autore fu forse per questo spiccato controllo unicamente senatorio, completamente svincolato da qualunque contributo da parte dei magistrati ordinari come delle assemblee popolari, che la dittatura scomparve progressivamente a partire dalla fine della vicenda annibalica. Essa però tornò alla fine della repubblica con aspetti del tutto diversi e di fatto non sovrapponibili rispetto a quelli che le erano stati inizialmente connaturati.
D’altro canto, a questa ben nota dinamica storica saranno da attribuire altri due fattori, peraltro richiamati correttamente dall’A: da un lato l’introduzione di nuovi strumenti istituzionali che andarono ad ampliare le normali competenze e prerogative delle magistrature tradizionali (si pensi in particolare al sistema della prorogatio imperii), dall’altro la cautela con cui da sempre si trattava una magistratura i cui confini erano troppo sfumati per essere ricompresi nelle normali istituzioni repubblicani. Si ricorda, a questo proposito, la reiterata equiparazione ideologica tra la figura del dittatore e l’idea di monarca, che ben rende l’idea del carattere ambiguo con cui a Roma si trattava la dittatura. Questo aspetto si rileva molto bene anche nella tradizione di lingua greca (p. 183), che esplicitamente collega la figura del dittatore a quella del tiranno, anche per quanto riguarda l’interpretazione di alcune prerogative del primo, che vengono viste come tipiche del secondo.
Peraltro, un risultato importante dell’ultima sezione del capitolo dedicato alla dittatura (pp. 192-196) riguarda anche la capacità delle fonti greche (segnatamente Polibio e Dionigi di Alicarnasso) di comprendere e rendere correttamente il profilo istituzionale della dittatura, nelle sue competenze e prerogative come anche nei rapporti tra di essa e le altre magistrature ordinarie.
Evocata più volte come strumento parzialmente concorrenziale rispetto ad altri istituti di tipo emergenziale come interregnum e dictatura, la prorogatio imperii è al centro del terzo capitolo. Introdotta inizialmente con lo scopo di prolungare l’imperium di un console o di un pretore perché questi potesse portare a termine una campagna bellica, la prorogatio imperii fu presto impiegata in modo più flessibile e diversificato, non solo per sopperire ad un eventuale fabbisogno di magistrati dotati di imperium (qualora quelli regolarmente eletti non fossero sufficienti a gestire i vari fronti di guerra aperti, o altre situazioni che richiedessero magistrati cum imperio), ma anche per attribuire l’imperium a ex magistrati che avessero ricoperto cariche non nell’anno immediatamente precedente a quello in cui si sarebbe fatta valere la prorogatio.
Ancora una volta, accanto all’approfondita analisi delle caratteristiche istituzionali della prorogatio imperii se ne affianca una di carattere più latamente politico: a fronte di chi sostiene un ruolo decisivo delle assemblee popolari nell’attivazione della prorogatio, l’Autore pone in risalto come l’intero processo fosse nelle mani del senato, che poteva, anche formalmente, prescindere dall’intervento popolare. Quest’ultimo, piuttosto, si profila in casi particolari, come in quello dell’attribuzione dell’imperium all’Africano, a causa della sua condizione di privatus. In generale, l’Autore sottolinea come la componente popolare entrasse in gioco allorquando l’attivazione della prorogatio imperii implicasse il conferimento dell’imperium ad individui che potevano rappresentare casi controversi dal punto di vista politico e/o giuridico. Ancora, il coinvolgimento del populus apparve fondamentale nell’applicazione della prorogatio imperii per l’istituzione di cariche promagistratuali di ambito provinciale.
Il volume si conclude con un breve ma utile capitolo che sinteticamente ricapitola le osservazioni più rilevanti che l’Autore ha proposto nel corso dell’indagine a proposito dei tre istituti presi in analisi (le medesime conclusioni sono poi presentate anche in tedesco).
In conclusione, l’Autore, a partire da un’ampia ed eterogenea bibliografia e da una approfondita conoscenza della casistica relativa conduce un’analisi di tipo istituzionale-giuridico, che gli permette di avanzare proposte di correzioni relativamente ad alcune posizioni ampiamente accettate in dottrina. Nel contempo, egli assume anche un approccio più ampiamente storico-politico, grazie al quale gli è possibile inserire alcuni degli aspetti più problematici dei tre istituti analizzati nel parallelo contesto storico, cogliendone di volta in volta la valenza politica ed ideologica.
Il volume, dunque, rappresenta un contributo rilevante non solo allo studio dell’interregnum, della dictatura e della prorogatio imperii in età alto e medio repubblicana, ma anche, e più in generale, alla conoscenza degli strettissimi vincoli che legavano regole istituzionali e lotta politica in età repubblicana.