La letteratura periegetica è divenuta oggetto, in anni recenti, di un rinnovato interesse di ricerca, in particolare nella bibliografia italiana. Allo studio di Eva Falaschi (2021), dedicato all’esame diacronico delle variazioni semantiche del termine periegetes in rapporto al parallelo exegetes[1], si sono aggiunti i lavori monografici, indipendenti ma pressoché contemporanei, di Mariachiara Angelucci (2022) e Roberto Capel Badino (2018), concentrati sulla figura di Polemone di Ilio.
Erudito dagli interessi poliedrici, vissuto tra il III e il II secolo a.C., Polemone viene designato per la prima volta periegetes in epoca augustea da Strabone (IX, 1, 16 = T 8 Angelucci), che offre la più antica attestazione del termine in senso tecnico indicante l’autore di un particolare genere letterario, la periegesi storica o antiquaria. In epoca ellenistica, in un assetto politico in cui la realtà delle piccole poleis è subordinata al vasto orizzonte delle grandi monarchie, si diffonde la vivace tendenza, da parte di ogni città e santuario, a valorizzare il proprio patrimonio di antichità e tradizioni, per preservarne la memoria e consolidare la propria, orgogliosamente individuale, identità storica e civica. Polemone, originario della Troade ma di formazione e cultura greca, è tra i primi esponenti della letteratura periegetica antiquaria, figura di spicco rispetto ai contemporanei Anassandride di Delfi (FGrHist 404) e agli ateniesi Eliodoro (FGrHist 373) e Diodoro (FGrHist 372), tanto da meritare l’esplicito elogio di Plutarco (Quaest. Conv. V 675b = T 4) per l’ampia erudizione e la conoscenza accurata dei fatti greci. A maggior ragione si lamenta la perdita della sua opera in forma diretta e integrale.
La tradizione indiretta ha fortunatamente preservato alcuni frammenti degli scritti periegetici, alla cui edizione critica, traduzione in italiano e commento ha rivolto l’attenzione Angelucci, rielaborando lo studio avviato con la Tesi di Dottorato (Università di Pisa, 2005) e proseguito con singoli articoli usciti tra il 2004 e il 2014[2]. Il volume, edito nel 2022 nella collana Geographica Historica di Franz Steiner Verlag, rappresenta una novità bibliografica – come sottolineano i curatori nel cenno introduttivo (p. 7) – trattandosi della prima opera della serie che, diversamente dalle precedenti, accoglie l’edizione critica di un autore. L’editore viene ringraziato per la pazienza che ha accompagnato la nascita del lavoro, consegnato da Angelucci qualche anno prima della pubblicazione (p. 11) e preceduto, nel 2018, dalla monografia di Capel Badino. È certamente singolare l’interesse concomitante di due studiosi italiani per la figura del periegeta – a distanza di quasi due secoli dall’editio princeps di Ludwig Preller (1838) – ma entrambi gli autori sottolineano il carattere autonomo dei propri lavori[3], evidente anche nella selezione dei frammenti: tutti gli scritti periegetici, per Angelucci; quelli concernenti la Grecia, per Capel Badino. La pubblicazione delle due monografie in anni vicini non ha consentito – come riconosciuto da Angelucci (p. 11) – un dialogo costante e puntuale col lavoro del collega per tutti i passi, lasciando a chi accosta la lettura di Polemone il compito di raffrontare e integrare i commenti e le proposte interpretative dei due studiosi.
Nella Premessa, dopo un sintetico stato dell’arte sui lavori dedicati al periegeta, Angelucci evidenzia l’obiettivo della ricerca: lo “studio completo e sistematico sugli scritti periegetici di Polemone, che metta in evidenza gli interessi dell’autore, considerato nel contesto storico e culturale a lui contemporaneo” (p. 11). La monografia si articola in due parti: l’Introduzione, che illustra la personalità di Polemone e i vari aspetti dell’opera; la presentazione dei Testimonia e, dettagliatamente commentata, dei Fragmenta.
Angelucci esamina le fonti letterarie per ricostruire la biografia di Polemone – Plutarco, Ateneo e la Suida – cui affianca il decreto onorario delfico del 177/6 a.C. di concessione della prossenia (Syll.3 585 nr. 114 = T 2) per le benemerenze acquisite con le opere sulle antichità del santuario, collocando la cronologia del periegeta tra l’ultimo trentennio del III e la prima metà del II secolo. Segue la discussione sulla formazione dell’autore, di cui Angelucci ammette che “non sappiamo nulla di sicuro”. Lo spiccato interesse per Atene rivelerebbe comunque la frequentazione di varie scuole filosofiche, in particolare di quella peripatetica, ravvisabile nell’ampiezza e varietà enciclopedica degli argomenti trattati, nella tendenza alla raccolta erudita, nell’attenzione al dettaglio e nell’organizzazione del materiale antiquario secondo precisi criteri. Angelucci cerca di definire anche la probabile vicinanza di Polemone all’ambiente culturale pergameno e l’affinità con quello alessandrino, nonostante, in entrambi i casi, non si disponga di testimonianze dirette. Piuttosto congetturale rimane l’interpretazione dell’orientamento di Polemone sull’espansione di Roma in Grecia.
Vengono poi illustrati gli scritti periegetici nel quadro della periegesi antiquaria ellenistica e viene discussa la designazione complessiva della sua opera indicata dalla Suida, Kosmike Periegesis, che rifletterebbe la collazione, a posteriori, in unico volume, di singoli lavori originariamente concepiti in forma monografica[4]. Le opere vengono suddivise in base al duplice criterio, geografico e tematico, adottato dall’autore e, in assenza di titoli esplicitamente tramandati, l’attribuzione dei frammenti anepigrafi viene suggerita dal contenuto dei frustoli stessi, come per l’Argolide e l’Elide.
Angelucci offre infine alcune considerazioni generali sul metodo storico di Polemone, soffermandosi sull’utilizzo delle fonti, con osservazioni riprese e approfondite nel commento ai frammenti. Oltre all’esperienza autoptica e alle testimonianze orali raccolte in loco, documentabili con certezza per Atene, Sicione e Delfi, ma probabili anche per Olimpia e Dodona, sono da annoverare numerose fonti letterarie, spesso di difficile individuazione per l’assenza di citazioni esplicite, ma Angelucci cerca ogni volta di ricostruire la linea di trasmissione del testo. L’autrice ritiene che a Polemone fossero note la produzione periplografica e logografica ionica, accanto a Ecateo ed Erodoto; la storiografia locale di varie regioni, in particolare l’attidografia; i variegati scritti peripatetici, ma anche specifiche trattazioni di pittura e scultura, nonché raccolte di proverbi e lessici. Tra le fonti epigrafiche, oltre alle iscrizioni votive e funerarie su monumenti e oggetti (FF 4, 18-19, 24, 26), da rilevare anche la citazione di decreti (F 3) e la puntuale consultazione e registrazione degli inventari santuariali. Le liste di offerte e suppellettili cultuali dei thesauroi di Metaponto e Bisanzio a Olimpia, nonché dell’Heraion (F 21), con precise indicazioni su quantità e materiali preziosi, fissano, quasi fotograficamente, lo status dei votivi di quegli edifici all’inizio del II secolo e non risultano tràdite da nessun’altra fonte parallela. Lo spiccato interesse per le iscrizioni avrebbe meritato a Polemone l’appellativo di stelokopas da parte di Erodico di Babilonia (Athen. VI 234d = T 3), ma Angelucci accenna solo in nota al significato di questa singolare designazione, ricordando sinteticamente le diverse interpretazioni avanzate[5]. L’Introduzione si chiude con la presentazione del Conspectus siglorum et editionum di Testimonia e Fragmenta.
La seconda parte del lavoro è dedicata alla discussione analitica dei singoli frammenti, corredati dalle fonti indirette che li tramandano e da accurati apparati critici di varianti testuali e loci similes, oltre alla traduzione. Nel complesso, la produzione di Polemone si caratterizza per la sua dimensione fortemente locale: si concentra su luoghi e oggetti specifici, minuziosamente illustrati e arricchiti da excursus e aneddoti di carattere geografico, etnografico, storico, artistico e religioso, e predilige curiosità e mirabilia, senza tralasciare notazioni linguistiche (FF 22, 25). Come ben evidenzia Angelucci, si tratta di una “macroletteratura per un microcosmo” (p. 42): l’acropoli di Atene e i suoi votivi (FF 1-5), come i vasi “tericlei” (F 1) o le coppe “lichiurgee” (F 2); le offerte a Sparta, in particolare nel tempio di Atena Chalkioikos (F 18); i dipinti dei Propilei ateniesi (F 6) e della Stoa Poikile a Sicione (FF 14-17); gli edifici sacri, come il tempio di Afrodite Lamia a Tebe (F 15), quello di Apollo Smintheus a Chrysa, nella Troade (F 30) e il santuario di Demetra Libica ad Argo (F 11); o, ancora, i thesauroi, i monumenti e i votivi dei grandi santuari: Delfi (FF 26-28), Olimpia (FF 20-22), Dodona (F 29); la hiera hodos tra Atene ed Eleusi (T 6); la fondazione delle poleis in Focide, Laconia e nel Ponto (T 1), in Magna Grecia e Sicilia (FF 36-39); gli eponimi dei demi e delle tribù di Atene (FF 7-10); l’istituzione di culti, feste, agoni e usanze, come le Panatenee, le Efestie e le feste di Prometeo ad Atene (F 6), le Herakleia di Tebe e le Lykaia in Arcadia (F 25), le Theoxenia a Samotracia e Delfi (F 35), la venerazione del lupo a Delfi (F 28), il culto di Diomede in alcune località della Magna Grecia (F 39); la lampadodromia ad Atene (F 6) e la corsa dei carri trainati da muli a Olimpia (F 22); le particolarità dei calendari poleici (F 7 per Atene); vari aspetti della storia e mitistoria dell’Argolide (FF 11-13), dell’Arcadia (F 23), della Beozia (F 24), di Ilio e altri siti della Troade (F 30-32), della Caria (F 33-34) e di Malta (F 38).
Per ogni frammento Angelucci esamina le varie questioni proposte, discutendo le fonti di Polemone e gli autori che ne trasmettono il testo, in primis Ateneo, Plutarco, gli scoliasti, cercando di distinguere il dettato del periegeta dalla fonte indiretta e di individuare – operazione non sempre agevole – l’eventuale Mittelquelle. Per definire il contesto entro cui si colloca il passo, viene svolta un’analisi approfondita degli aspetti archeologici, epigrafici, artistici, storici e istituzionali, che spesso si avvale di fonti letterarie parallele, come Pausania e Plinio. Non di rado, però, si riscontra la tendenza a soffermarsi su elementi che paiono accessori al commento, inserendo considerazioni, nel testo e nelle note, che rendono l’esposizione sovrabbondante rispetto al puro contenuto dell’excerptum e sfociano talora nella trattazione quasi documentaria anche di informazioni non strettamente attribuibili a Polemone (Tucidide di Melesia: p. 100, nt. 358; Androzione e l’attidografia: p. 101, nt. 363; la pittura greca in generale rispetto alla scuola di Sicione: pp. 142-144; la condizione delle etere: pp. 87-92; 135, 137, 148-150; la provenienza degli Eneti / Veneti: pp. 153-154; la percezione dell’ethnos degli Spinati, affrontata sulla base di elementi fragili: pp. 172-173). Se la Fragestellung può risultare, a tratti, deviata dal focus dell’analisi, in altri punti si avvertirebbe invece la necessità di un approfondimento di questioni che sembrano lasciate in ombra, come un confronto più puntuale tra la testimonianza di Polemone e le più recenti evidenze archeologiche (identificazione della Stoa Poikile di Sicione e del santuario di Demetra Libica ad Argo: pp. 46, 121, 135-136; tipologia e motivazione dei votivi dell’etera Cottina a Sparta: pp. 146-150) e anche con le fonti epigrafiche (decreto ateniese regolante l’attribuzione dei nomi: pp. 84-93).
L’edizione è completata da una ricchissima appendice bibliografica, che peraltro replica i riferimenti già presenti in forma estesa nelle note; da una tavola delle concordanze dei frammenti con le precedenti edizioni di Preller (1838) e Müller (18832); da dettagliati indici dei Testimonia e dei Fragmenta, delle fonti citate, dei nomi e dei luoghi. Si segnala, infine, qualche refuso[6].
Bibliography
R. Capel Badino, Polemone di Ilio e la Grecia. Testimonianze e frammenti di periegesi antiquaria, Milano 2018.
E. Falaschi, Periegetai nel mondo antico. Usi e interpretazioni del termine in una prospettiva cronologica, Milano 2021.
C. Müller, Fragmenta Historicorum Graecorum (FHG), III Parisiis 18832, pp. 108-148.
L. Preller, Polemonis Periegetae Fragmenta, Lipsiae 1838.
Notes
[1] BMCR 2022.06.16
[2] Angelucci, Bibliografia, pp. 223-224.
[3] Capel Badino, p. 48; Angelucci, p. 11.
[4] Anche Falaschi 2021, pp. 30-42, ammette l’ipotesi di un’azione editoriale di età bizantina.
[5] Angelucci, p. 39 nt. 126. Cfr. invece la disamina approfondita e convincente in Capel Badino 2018, pp. 15-18.
[6] P. 22: panellica (per panellenica); p. 53: argiva (per arcade); p. 86, nt. 258: Esperia (per Hesperia); p. 163: Cleanore (per Cleone); p. 174: πρώτος (per πρῶτος).