BMCR 2025.04.36

Hippocrate. L’officine du médecin

, , , Hippocrate. L'officine du médecin. Collection des universités de France. Série grecque - Collection Budé, 575. Paris: Les Belles Lettres, 2024. Pp. ccl, 134. ISBN 9782251006604.

Negli ultimi anni si stanno susseguendo numerose nuove edizioni critiche di testi ippocratici pubblicate per la «Collection des Universités de France», per la maggior parte curate da Jacques Jouanna in collaborazione con altri studiosi di fama internazionale. Il 2024 è stata la volta del De officina medici, di cui viene offerta una nuova edizione critica corredata da una puntuale traduzione francese, un’ampia introduzione storica e filologica, nonché da utili note di commento e da un index delle parole greche: tale lavoro è il risultato della maestria di Jacques Jouanna, che ha potuto avvalersi della perizia e dell’accuratezza critico-testuale di Anargyros Anastassiou e Antonio Ricciardetto, suoi collaboratori.

L’ultima edizione critica del De officina medici risaliva al 1902 ed era stata curata da Hugo Kühlewein, che aveva già apportato notevoli miglioramenti rispetto alle edizioni ottocentesche: Émile Littré (1841, vol. III degli Opera omnia), seguito da F. Z. Ermerins (1864), infatti, non conosceva nessuno dei tre testimoni indipendenti della tradizione diretta e fondava il testo greco su codici apografi e sulla tradizione indiretta galenica, mentre J. E. Petrequin (1878) poté avvalersi del solo Marcianus gr. 269 (M: vd. sotto). Nonostante il testo greco stabilito da Kühlewein fosse sostanzialmente – fatta eccezione per alcuni passi – corretto, esso teneva di fatto in scarsa considerazione la tradizione indiretta dell’opera, non offrendo peraltro né una traduzione né note di commento al testo.

Il De officina medici, sin dai tempi di Erotiano e Galeno, è stato attribuito a Ippocrate e classificato tra i trattati chirurgici insieme a De fracturis, De articulis e De capitis vulneribus. Esso si può a grandi linee dividere in due macro-sezioni: i capitoli iniziali (1-6) riguardano l’operazione in generale, di cui si mettono in evidenza le parti in gioco (la triade formata da malato, medico e assistenti, seguita dagli elementi materiali come strumenti e illuminazione); la gran parte del trattato (capp. 7-25) verte però sulla pratica del bendaggio (ἐπίδεσις), da effettuare dopo che si siano rimesse al loro posto ossa fratturate o lussate.

Se in passato il De officina medici si riteneva fosse stato composto dallo stesso autore del De fracturis e del De articulis, Jouanna, Anastassiou e Ricciardetto hanno dimostrato come emergano nel testo caratteristiche che lo rendono diverso e unico rispetto agli altri due trattati chirurgici. Se infatti De fracturis e De articulis sembrano possano risalire effettivamente al medesimo autore, lo stile del De officina medici è decisamente diverso: rispetto al De fracturis, ad esempio, manca l’uso dei verbi alla prima persona e dell’impersonale χρή (che nel De fracturis ricorre ben 140 volte); inoltre l’autore del De officina medici predilige, nell’ indicare l’estensione delle membra, l’impiego del termine διάτασις contro κατάτασις, ricorrente invece nel De fracturis. D’altra parte, emerge da diversi passi come l’autore del De officina medici abbia letto e usato il testo del De fracturis, rielaborandone il materiale in modo originale: il fine è quello di offrire una sintesi di prescrizioni riguardanti in generale l’attività chirurgica e in particolare la tecnica del bendaggio, tralasciando invece indicazioni terapeutiche su casi specifici. Il trattato, rivolto principalmente a medici già esperti, si può datare verosimilmente tra la fine del V e l’inizio del IV secolo a.C.

I tre testimoni manoscritti indipendenti, già noti e usati da Kühlewein per la sua edizione, sono il Laurentianus pluteus 74,7 del X secolo (B), che forma da sé il ramo ‘a’ della tradizione, il Marcianus gr. 269, anch’esso del X secolo (M), e il Vaticanus gr. 276, databile tra l’XI e il XII secolo (V), che insieme formano il ramo ‘b’ della tradizione. Il loro valore nella constitutio textus e le relazioni reciproche tra i tre testimoni indipendenti sono ben illustrate dagli editori. Al contrario, i codici apografi sono – con qualche eccezione – solo appena menzionati e per le loro descrizioni e valutazioni si rimanda agli studi e alle edizioni ippocratiche precedenti, e soprattutto al volume “Hippocrate. Introduction générale” pubblicato dallo stesso Jouanna per la CUF nel 2020. Anche lo stemma codicum posto alla fine della “Notice” (p. CXXI), di conseguenza, è parziale e considera solo i codici esaminati, oltre naturalmente alla tradizione indiretta galenica in greco e in arabo.

Il merito principale del presente volume sul De officina medici è senz’altro quello di aver valorizzato la ricca tradizione indiretta dell’opera, costituita dal Glossario ippocratico di Erotiano, dal Glossario ippocratico di Galeno, dal Commento di Galeno, dallo pseudo-galenico De fasciis (il cui autore ha ripreso diversi passi sui bendaggi dal De officina medici), dalla testimonianza di Oribasio, da alcune glosse di Esichio. Il Commento di Galeno al De officina medici, tramandato dal Parisinus gr. 1849 (GalP) del XII secolo, è senza dubbio una delle testimonianze più preziose anche per la constitutio del testo ippocratico. Jouanna, Anastassiou e Ricciardetto hanno collazionato integralmente il Parisinus gr. 1849, distinguendo tra i lemmi, indicati con GalL(P), e le citazioni del testo ippocratico all’interno del Commento, indicate con GalT(P). Rispetto all’edizione del Kühlewein, attraverso una ricostruzione precisa della storia del testo, Jouanna, Anastassiou e Ricciardetto hanno dimostrato come l’editio princeps Aldina del De officina medici (pubblicata nel 1526), a differenza che per gli altri testi ippocratici, non fonda il testo su un codice tardo della tradizione bensì sui lemmi del Commento di Galeno quale fu stampato nell’Aldina galenica appena un anno prima (1525). Per giunta, in molti punti il testo dell’Aldina di Galeno è migliore rispetto a quello tramandato dal Parisinus gr. 1849 e sembra dunque derivare da un testimone oggi perduto. La nuova edizione di Jouanna, Anastassiou e Ricciardetto dà valore, dunque, non solo alla tradizione diretta del Commento galenico, ma anche al testo stampato nell’Aldina, distinguendo tra i lemmi, con il siglum GalL(A), e le citazioni interne al commento, con GalT(A).

Altro merito della nuova edizione CUF è quello di aver tenuto per prima conto della tradizione in lingua araba, costituita in particolare da cui codici: lo Scorialensis arab. 845 (sec. XII) tramanda il Commento di Galeno ma presenta evidenti lacune; l’Aya Sofia 3632 tramanda il testo ippocratico del De officina medici ricostruito a partire dai lemmi di Galeno. Entrambe le traduzioni, risalenti alla scuola di Hunain ibn Ishaq, sono state pubblicate da Lyons rispettivamente nel 1963 e nel 1968.

La nuova edizione della CUF riporta inoltre, tra il testo greco e l’apparato critico, un ricco apparato dei testimonia, del tutto assente invece nell’edizione del Kühlewein: qui si rimanda alle testimonianze di varie opere galeniche, a quelle dei lessicografi, agli enciclopedisti Oribasio, Aezio Amideno e Paolo di Egina, nonché alla tradizione in lingua araba.

Per quanto riguarda il layout del testo critico, in linea con le scelte editoriali degli ultimi volumi ippocratici, anche nell’edizione del De officina medici si è scelto di seguire le righe dell’ultima edizione di riferimento – in questo caso quella del Kühlewein -, nonostante gli apparati (quello dei testimonia e quello critico) dell’edizione di Jouanna, Anastassiou e Ricciardetto siano notevolmente più ricchi. Tale scelta, che comporta talvolta qualche bruttura nell’impaginato (ad esempio, talvolta, linee con caratteri di dimensioni diverse o linee giustificate in modo eccessivo), ha tuttavia il merito di agevolare il lettore nel confronto tra le due edizioni.

Il testo greco diverge in numerosi punti da quello stampato da Kühlewein. Le scelte ecdotiche, spesso prese grazie all’ausilio della tradizione indiretta, sono spiegate in modo chiaro e ragionato nelle note di commento. In diversi casi Jouanna è riuscito a presentare un testo più aderente alla tradizione manoscritta di quanto non siano riusciti a fare gli editori precedenti. Per fare un esempio, a pagina 11, linea 14, l’autore del De officina medici riassume in una triade le fasi della cura di fratture riunendole sotto il criterio della conformità alla natura (κατὰ φύσιν). Prediligendo l’impiego di sostantivi astratti in -σις, menziona dapprima la πάρεξις, vale a dire la “presentazione” della frattura che il malato fa al medico, poi la διάτασις, l’operazione di “estensione” degli arti, infine – come terzo e ultimo termine – nella tradizione diretta (BVM) e nei lemmi del Commento galenico ricorre la κατάτασις, che sembra essere un doppione del suo sinonimo διάτασις, a indicare ancora una volta l’estensione degli arti. Poiché all’interno del Commento galenico al posto di κατάτασις si legge ἀνάπλασις, gli editori precedenti avevano scelto di stampare quest’ultimo termine a indicare la “riparazione” della frattura. Jouanna, con una economica e convincente correzione, ha intuito che dietro alla lezione tràdita κατάτασις si cela in realtà il termine κατά<σ>τασις, “aggiustamento”.

Le note di commento, rispetto alle edizioni ippocratiche più datate, sono ordinate per capitoli, con chiari riferimenti a pagina e righi del testo: tale organizzazione rende comodo e facile trovare il relativo commento del passo greco che si sta leggendo.

Si possono segnalare alcuni (pochi) refusi, come ad esempio: alla pagina XLVI della “Notice” è saltata la nota a piè di pagina nr. 18; sul margine destro della p. 1 del testo greco, il riferimento all’edizione Littré dovrebbe essere III 272, non III 472. Si notino poi alcune omissioni nel conspectus siglorum di sigla presenti invece, benché sporadicamente, nell’apparato critico: mancano il siglum BL, usato a p. 5, l. 17 dell’apparato critico a indicare le varianti di codici medicei collazionati da Foes (riportate da Littré), e i sigla R e U (a indicare rispettivamente il Vaticanus gr. 277 e il Vaticanus Urbinas gr. 68), a cui ci si riferisce a p. 8, l. 10 (scholia R2 U2) dell’apparato; manca anche il riferimento nel conspectus allo pseudo-galenico De fasciis menzionato più volte in apparato. Tali omissioni non sminuiscono tuttavia di certo né la qualità del lavoro ecdotico né la chiarezza e la completezza degli apparati, che offrono al lettore critico tutti gli strumenti necessari non solo alla comprensione del testo ma anche alla valutazione della sua tradizione.

La nuova edizione CUF del De officina medici, che coniuga la chiarezza e la sintesi nella collazione storica dell’opera alla dettagliata analisi filologica del testo, offre dunque uno strumento indispensabile e imprescindibile allo studioso del trattato ippocratico e della sua tradizione, gettando luce su un testo fondamentale della chirurgia di età classica.