Il volume di Antonio Rollo ha lo scopo di offrire uno studio sistematico e complessivo della tradizione medievale delle pericopi testuali in greco contenute nel De vita Caesarum di Svetonio: cioè di come questa parte di testo sia stata tramandata e sia andata modificandosi durante i secoli che vanno dall’età tardo-antica al basso Medioevo[1].
Il primo capitolo è una sintesi sulla conoscenza della lingua greca, sugli strumenti usati per ottenerla e sulla diffusione della scrittura greca nel Medioevo latino. Il secondo capitolo è un resoconto critico dei contributi sulla tradizione manoscritta del De vita Caesarum e sulla costituzione dello stemma codicum dell’opera. Il terzo capitolo si apre con la lista degli inserti greci del De vita Caesarum secondo il testo critico dell’ultimo editore (Robert A. Kaster)[2]; seguono alcune pagine dedicate alle caratteristiche, soprattutto paleografiche, del greco che si legge nei manoscritti dell’opera. Il quarto capitolo è il piú cospicuo: si apre con la collazione dei Graeca del De vita Caesarum nei manoscritti medievali e con l’analisi di un caso particolare d’intervento antico sul greco (quello del Par. Lat. 6116); continua con la dimostrazione dell’esistenza di un archetipo per tutti i codici dell’opera svetoniana, alcune lezioni del quale sono verosimilmente riconducibili all’età tardo-antica; si chiude con la discussione delle varie famiglie di manoscritti e la proposta di uno stemma codicum da confrontare con quelli già stabiliti negli studi precedenti. Il quinto capitolo è dedicato all’analisi di una traduzione interlineare in latino dei Graeca del De vita Caesarum, testimoniata soltanto in alcuni manoscritti, che fu eseguita in un’epoca anteriore alla prima metà del secolo XI.
Come si può vedere nel riassunto dei contenuti del libro, i primi due capitoli sono propedeutici al resto dell’opera: essi danno le coordinate generali all’interno delle quali si possono comprendere i risultati della ricerca dell’Autore. Questo rapporto tra le diverse parti del volume è particolarmente evidente per il quarto capitolo, in cui le questioni fondamentali dello studio dei Graeca nella tradizione medievale delle opere latine e le risultanze della critica testuale per il De vita Caesarum vengono poste in dialogo e messe a frutto per la ricostruzione delle lezioni d’archetipo dei Graeca dell’opera e per la costituzione di uno stemma codicum che dia il giusto peso alle evidenze offerte dall’analisi del greco.
Il libro s’inserisce in una corrente di studi sulla circolazione del greco nel Medioevo latino e sull’importanza che i Graeca possono assumere nello studio delle tradizioni manoscritte di autori latini – una corrente che ha ricevuto un’attenzione crescente negli ultimi decenni. Prova ne sono, tra gli altri, due volumi che raccolgono gli interventi di due importanti conferenze: Greco antico nell’Occidente carolingio. Frammenti di testi attici nell’Ars di Prisciano (Spudasmata 159). Hildesheim-Zürich-New York: Georg Olms Verlag, 2014, a cura di Luca Martorelli, e I graeca nei libri latini tra Medioevo e Umanesimo. Atti della giornata di studi in ricordo di Alessandro Daneloni (Studi medievale e umanistici XIV). Messina: Centro internazionale di studi umanistici, 2016, oltre che una serie di lavori pubblicati dall’Autore stesso. Piú specificamente, anche lo studio delle pericopi in greco in un testo latino quale luogo piú difficilmente interessato a contaminazione, e quindi particolarmente utile all’individuazione dei rapporti fra manoscritti, ha avuto un precedente parallelo negli studi di Michela Rosellini sul testo del lessico sintattico posto alla fine dell’Ars di Prisciano[3].
L’Autore ha cura di riportare in modo molto fedele i dati ricavati dall’esame dei manoscritti: nella trascrizione delle lezioni dei Graeca nei codici, accanto ai caratteri dalla grafia piú consueta e costante nei secoli, vengono impiegate anche piú varianti di una stessa lettera, perché la loro facies può rivelarsi utile all’analisi filologica: un esempio è la lettera my, che viene trascritta dall’Autore, a seconda della grafia che si ritrova sul codice, in cinque modi diversi. In non pochi casi le informazioni ricavate dalla lettura dei manoscritti sono corroborate dalla riproduzione fotografica delle porzioni testuali interessate. Questi inserti non precludono mai la fruibilità della lettura del volume; in qualche caso, tuttavia, la riduzione delle dimensioni della riproduzione ha fatto sí che il testo contenuto in essa non sia perfettamente leggibile (e.g. pp. 113 n. 2, 212 n. 4).
Le pagine sulla trasmissione dei Graeca, con l’attenzione posta alle caratteristiche non solo testuali, ma anche grafiche di questi passi, sono di notevole valore per la ricostruzione storica. Particolarmente suggestivo è il capitolo 5, sulla traduzione medievale in latino del greco contenuto nell’opera svetoniana, e soprattutto “l’ipotesi che l’artefice di questa versione sia un ellenofono venuto a trovarsi in una cerchia, probabilmente del Nordeuropa, sensibile al problema dei graeca” (pp. 221-2). Una simile ipotesi, messa correttamente a confronto con casi simili riscontrati in tradizioni di opere latine contenenti inserti greci (pp. 223-34), permette di aggiungere un tassello ulteriore alla ricostruzione della circolazione e della conoscenza del greco nel Medioevo latino e invita gli studiosi a indagare piú a fondo in questo campo di studi.
Qualcosa di piú va detta sulla sintesi degli studi sui rapporti fra i codici e la costituzione di uno stemma (capitolo 2). La necessità di usare lo stesso siglum per i manoscritti nelle diverse ricostruzioni ha spinto l’Autore a un’esposizione talvolta non del tutto perspicua. È il caso dello stemma ricavato dalle pagine sulla tradizione manoscritta prefatorie all’edizione di Maximilian Ihm[4]. L’Autore avverte di aver adottato i sigla stabiliti da Robert Kaster, anche se a volte divergono da quelli usati dagli studiosi precedenti (pp. 58-9)[5]. Nel descrivere i rapporti stemmatici tracciati da Ihm e nel disegnare lo stemma che ne consegue, l’Autore osserva correttamente che il manoscritto Città del Vaticano, BAV, Reg. Lat. 833, (che Kaster sigla con N) appartiene al gruppo di codici derivanti dal capostipite X (pp. 60-1). Nello stemma, di conseguenza, una linea verticale scende da X a cinque manoscritti, tra i quali N[6]. Quel che non si può evincere da queste pagine è che Ihm non assegna un siglum al Reginense, che pure riconosce discendere da X, ma non considera rilevante ai fini della constitutio textus[7]. Il quinto manoscritto che Ihm indica come dipendente da X e a cui assegna il siglum T è Berlin, Staatsbibliothek, Lat. fol. 337. Quest’ultimo codice viene invece scartato, per la ricostruzione stemmatica, dagli studiosi piú recenti e dall’Autore[8]. Ulteriore elemento di confusione è il fatto che col siglum N Ihm indica una diversa fonte manoscritta, cioè gli excerpta svetoniani tramandati in Paris, BnF Lat. 17903. La situazione è ancora piú complessa per l’altro ramo della tradizione, quello al capo del quale Ihm ricostruisce il subarchetipo Y. Anche qui l’adozione dei sigla di Kaster fa sorgere qualche ambiguità. Le pagine sulla ricostruzione stemmatica di Ihm e lo stemma che l’Autore ne ricava richiedono quindi, per evitare ogni confusione, di essere integrate con la lettura diretta delle pagine dell’editore tedesco.[9]
Per quanto riguarda l’apporto del volume allo studio della tradizione manoscritta del De vita Caesarum, l’Autore stesso rileva alcune importanti divergenze rispetto a quanto stabilito negli studi precedenti, e in ultimo da Kaster (pp. 204-10). Le innovazioni interessano entrambi i rami in cui la tradizione è ripartita. Per quanto riguarda il ramo α, l’analisi del greco dell’opera svetoniana invita a riconsiderare, piú ancora di quanto avesse già fatto Kaster, la posizione del codex Memmianus (M = Paris, BnF, Lat. 6115), ritenuto in passato addirittura l’archetipo della tradizione: alla base dei Graeca di questo manoscritto l’Autore ricostruisce ben tre anelli di trasmissione rispetto all’archetipo, contro l’unico anello o i due anelli postulati dalla maggior parte degli studiosi precedenti. Inoltre, viene recuperato e considerato di particolare valore testuale per i passi in greco il tardo Paris, BnF, Lat. 5804 (W, xiv-xv sec.), che Kaster relegava nella folta schiera dei recentiores senza indicarne la posizione nello stemma. Per quanto riguarda il ramo β, l’individuazione di una serie di errori spiegabili solo come dovuti alla lettura del greco da parte del copista spinge l’Autore a retrodatare la formazione di questo ramo della tradizione rispetto a quanto proposto da Kaster (metà del xi sec.) e a porla in sostanziale parallelo con quella del ramo α, all’incirca alla prima metà del ix sec. (p. 203). Uno dei punti di novità piú rilevanti è lo spostamento dei manoscritti PON (vd. sopra e n. 5) dal ramo α al ramo β, per effetto di una contaminazione estesa anche ai Greca a cui l’ascendente dei tre codici fu sottoposto. Come riconosce l’Autore stesso, tuttavia, le acquisizioni ottenute grazie alla collazione dei Graeca dovranno essere confrontate con l’analisi filologica del testo latino e sarà compito delle ricerche future indagare ulteriormente i rapporti fra i vari gruppi di manoscritti e le naturali ricadute sulla costituzione del testo (p. 210), tenendo conto dei risultati ormai solidi ottenuti nello studio della tradizione dell’opera svetoniana.
In conclusione, il volume costituisce uno strumento fondamentale per chi si approcci allo studio del testo del De vita Caesarum di Svetonio ed è meritorio soprattutto per l’interesse rivolto alle pericopi in greco, solitamente trascurate dagli studiosi di quest’opera. È particolarmente utile anche per coloro che vogliano indagare la trasmissione del greco nel Medievo latino, sia sotto il punto di vista delle competenze linguistiche, sia dal punto di vista delle caratteristiche formali dei Graeca.
Il volume è corredato da un epilogo, che colloca il lavoro dell’Autore all’interno della storia del testo del De vita Caesarum, da un Indice delle fonti manoscritte e da un Indice dei nomi.
Le sviste redazionali od ortografiche che ho notato sono davvero poche, quasi sempre di nessun momento: a p. 159 la lezione d’archetipo ΤΙΛΛωΜεΝΟΝ[10] di Aug. 98, 4 è da riferirsi non a πυρούμενον del primo verso citato da Svetonio, ma a τιμώμενον del secondo (vd. le collazioni alle pp. 113-4); c’è doppio spazio nell’ultimo rigo di p. 58 e nel primo di p. 173; “si inarcua” a p. 73 (arcaismo?); manca lo spazio in “letteralatina” a p. 87; manca una preposizione a p. 92 “e lo stesso accade a Cal. 22, 4 l’e di ϲe”.
Notes
[1] Le fasi di restaurazione filologica di età umanistica sono state indagate dall’Autore stesso in Antonio Rollo, “La tradizione umanistica dei graeca di Svetonio”, Studi medievali e umanistici 18, 2020, 97-224.
[2] R. A. Kaster (ed.), C. Suetoni Tranquilli de vita Caesarum libri VIII et de grammaticis et rhetoribus liber (Oxford Classical Texts), Oxford: Oxford University Press, 2016.
[3] M. Rosellini (ed.), Prisciani Caesariensis Ars. Liber XVIII. Pars altera, 1. Hildesheim: Georg Olms Verlag, 2015.
[4] M. Ihm (ed.), C. Suetoni Tranquilli de vita Caesarum libri VIII, Lipsiae: Teubner, 1907.
[5] Vd. soprattutto R. A. Kaster, Studies on the Text of Suetonius’ De vita Caesarum, Oxford: Oxford University Press, 2016.
[6] Gli altri manoscritti in questione sono L = Firenze, BML 68, 7; P = Paris, BnF, Lat. 5801; O = Firenze, BML 66, 39; S = Montpellier, Bibliothèque Interuniversitaire, Section de Médecine, H 117.
[7] Ihm, p. xvi.
[8] Vd. Kaster, Studies, p. 4 n. 5.
[9] Oppure delle corrispondenze tracciate da Kaster, Studies, p. 4 n. 5, p. 17 n. 31.
[10] Per comodità utilizzo i caratteri comuni dell’alfabeto greco maiuscolo, fatta eccezione per omega ed epsilon, che nei manoscritti hanno solitamente le forme che saranno poi tipiche della minuscola, e per sigma.