BMCR 2022.10.21

Olympia: a cultural history

, Olympia: a cultural history. Princeton: Princeton University Press, 2021. Pp. xvii, 281. ISBN 9780691210476. $35.00 / £28.00.

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Questo lavoro di Judith Barringer, che affronta lo studio del grande santuario panellenico dalle origini al periodo tardoantico, intende offrire “a new way of viewing Olympia to answer the primary questions of how and why the site developed as it did over this long period of time” (p. 5). Il proposito è quello di ottenere una comprensione unitaria e contestuale del sito, analizzandolo sotto molteplici punti di vista (sociale, storico, politico e religioso), grazie all’impiego di tutta la documentazione (materiale e scritta) a disposizione. Allo stesso tempo, un altro obiettivo è quello di proporre questo metodologia come modello per lo studio di altri siti.

Il volume segue un approccio diacronico, che mira a tracciare l’evoluzione del santuario segnalando puntualmente le sue trasformazioni storiche e culturali. Così dopo un’introduzione che delinea lo stato della ricerca e gli obiettivi dell’opera, il prologo definisce la relazione tra Olimpia e Elide (che ebbe il controllo del santuario almeno dal 550 a.C.), nonché le prime tracce del culto documentate sul sito. Infatti se i primi reperti sono riferibili già al tardo Neolitico, la più antica struttura cultuale potrebbe essere l’Edificio VII (vista la sua prossimità al Pelopion e il suo orientamento), databile al X-VIII sec. a.C. Ma le prime evidenze sicuramente ascrivibili ad attività cultuali sono i resti dell’altare di ceneri (a nord del Pelopion) e migliaia di offerte votive di terracotta e bronzo del 900-600 a.C. Esse sono state rinvenute nello strato di terra scura presente nell’area compresa grosso modo tra il Pelopion, l’Heraion e il Metroon. Questi dati, tuttavia, non permettono una sicura identificazione delle prime divinità venerate. Barringer si occupa quindi delle festività attestate nel santuario: oltre alle Olimpiadi, sono noti gli Heraia, basati anch’essi su un ciclo di quattro anni. Pausania ne descrive la connessione con un gruppo di sedici donne elee, che tessevano un peplo per Era e supervisionavano le gare di corsa in onore della dea. A proposito dei giochi olimpici, invece, Barringer sottolinea come attualmente ci sia una discrepanza fra gli studiosi che ritengono probabile un inizio dei giochi ben prima della tradizionale data del 776 a.C. e il quadro fornito dall’archeologia, che non documenta l’arrivo di grandi masse di visitatori ad Olimpia prima degli inizi del VII sec. a.C. Molto precoce è inoltre la pratica di dedicare spoglie di guerra (tardo VIII sec. a.C.), che era naturalmente connessa alla dimensione agonale dell’uomo greco; questa tendenza produsse una quantità di dediche a carattere bellico priva di confronti con gli altri santuari del mondo antico.

Il capitolo 1 esordisce con una riflessione sul nostro modo di utilizzare Pausania come fonte primaria. Se infatti l’importanza del Periegeta per qualunque studio sul sito è indiscutibile, troppo spesso si dimentica la necessità di contestualizzare storicamente la sua opera, rimuovendo secoli di trasformazioni del sito e proiettando troppo meccanicamente ciò che si legge sui dati di scavo. Di conseguenza oggi si è raggiunta una maggiore consapevolezza dei mutamenti del santuario nelle varie epoche: ad esempio, anche grazie a scoperte recenti (come quelle dei santuari di Demetra Chamyne e Ilizia), è ora possibile riconfigurare i confini dell’Altis, che dovevano comprendere in origine anche il monte Cronion. Un’importante sezione di questo capitolo è dedicata alle questioni logistiche relative alle Olimpiadi e alla gestione del santuario. Infatti, se in passato i giochi sono stati il fulcro dell’attenzione degli studiosi, molto meno spazio è stato accordato alle condizioni materiali che permisero la loro realizzazione. Barringer fornisce a questo proposito un grande affresco che illumina sul trattamento delle acque (canalizzazioni, pozzi, bagni), sulla presenza di aree di mercato e di vettovagliamento per i visitatori, sugli spazi dedicati al consumo del cibo, all’alloggio e alla gestione dei sacrifici.

Il capitolo 2 è incentrato sul periodo arcaico, con un’esauriente discussione sul rapporto fra tre luoghi di culto nodali: il Pelopion, l’Heraion e l’altare di ceneri. Il primo ha radici antichissime, dato  che insiste su un tumulo del III millennio a.C. e, dopo un gap della documentazione nel Medio Elladico, ricevette nuove attenzioni a partire dal Submiceneo. L’Heraion venne così definito da Pausania e non c’è ragione di dubitare che, quando egli lo visitò, fosse dedicato a Era. Ma Barringer accetta l’idea di Moustaka che in origine il tempio fosse stato costruito in onore di Zeus. L’altare di cenere sarebbe stato quindi smantellato al momento della costruzione del cosiddetto “Heraion” (600 a.C.). Barringer ritiene tuttavia che un secondo altare di cenere dovette essere in funzione dopo la dismissione di quello originario, per supplire al gran numero di sacrifici che non potevano essere condotti sul piccolo altare in pietra del tempio. La studiosa esamina inoltre le questioni relative alla Terrazza dei Tesori: ipotesi di attribuzione, aspetti storici, architettonici e artistici. Non manca una sezione sulle presenze greco-occidentali ad Olimpia e in particolare sul forte legame con Siracusa. La parte finale del capitolo tratta dell’Arca di Cipselo, fornendo un importante status quaestionis e avanzando interessanti ipotesi sia a proposito della sua collocazione originaria sia del suo legame con altri reperti del santuario.

Il capitolo 3 riguarda la documentazione a disposizione per il V sec. a.C., decisamente più abbondante del secolo precente. Barringer divide il capitolo in quattro parti: nella prima discute delle basi di statue votive ancora in situ, come il Monumento degli Achei, il Monumento degli Apolloniati, la Base dei Plateesi e altre ancora. La seconda tratta del tempio di Zeus edificato a partire dal 470 a.C. circa, inserendo il monumento nel suo contesto storico e illustrandone l’apparato scultoreo. Facendo riferimento alle quattro fasi di rinnovamento architettonico identificate da Hennemeyer, Barringer pone la cronologia dello Zeus di Fidia intorno al 430 a.C. e concorda con Brinkmann che il restauro delle facciate abbia implicato anche la sostituzione delle sculture frontonali originali. Le sculture che possiamo osservare oggi sarebbero quindi copie (imitanti lo stile severo) della fine del V sec. a.C. La terza sezione del capitolo analizza i cambiamenti dell’iconografia di Zeus ad Olimpia nel periodo classico: il padre degli dei da partecipe guerriero si trasforma in arbitro delle contese. La studiosa collega questo mutamento al nuovo ruolo di Olimpia dopo le Guerre Persiane come sede di un arbitrato per i conflitti tra i Greci. La quarta sezione riguarda altre basi votive presenti nel santuario, con brillanti osservazioni sul rapporto tra opere e committenza.

Il capitolo 4 si sofferma sul IV sec. a.C. e il periodo ellenistico. Barringer ben evidenzia come le prove archeologiche in nostro possesso parlino a favore di una “ongoing vibrancy” (p. 157) nel santuario e contribuiscano a dubitare del quadro di decadenza tracciato in passato. Tutto questo è illustrato dalla costruzione di una serie notevole di edifici: il Metroon, l’Edificio Sud-est, il Portico Meridionale, il Portico di Eco, il Leonidaion, la Palestra, il Ginnasio e i bagni ellenistici. Le dediche vedono in questo periodo significativi cambiamenti, in quanto, oltre alla consueta frequenza di monumenti per vittorie sportive, compaiono statue onorifiche per un’impressionante varietà di figure pubbliche e private. Inoltre un nuovo tipo di dedica, quella fatta per celebrare un’alleanza politica da parte di singole poleis o dinasti, è attestata per la prima volta nel IV sec. a.C. Così Barringer legge monumenti come quelli dei Diadochi, dei Tolemei, di Ierone II e del generale romano Mummio alla luce delle competizioni tra differenti dinastie, stati e comunità politiche. Certo anche gli atleti continuarono ad essere onorati, inaugurando anzi l’abitudine di erigere statue postume, talune opera di grandi maestri come Lisippo (per esempio nel caso di Polidamante di Scotussa); parimenti questo periodo vide le dediche di superbe statue di divinità, la più famosa delle quali è quella di Ermes con Dioniso bambino (per la quale Barringer concorda con Stewart sull’attribuzione a Prassitele). In sostanza, il periodo ellenistico confermò l’importanza di Olimpia, seppure all’interno di nuovi scenari politici, esaltandone anzi il ruolo di palcoscenico per la stipula di alleanze.

Anche nel capitolo 5, relativo all’epoca romana, Barringer sfata il luogo comune della decadenza del santuario. Olimpia dimostrò ancora una volta la sua flessibilità nel convogliare messaggi politici delle élites dominanti. I Romani più volte reimpiegarono basi pertinenti a monumenti precedenti in modo tale che fosse chiara la provenienza da un altro contesto: l’antichità e il prestigio di quei monumenti si rifletteva, grazie al riuso, nel monumento romano. Analogamente un edificio come il Metroon venne riutilizzato a fini propagandistici dalle prime dinastie imperiali, dato che venne ridedicato a Cesare Augusto e al suo interno trovarono posto diverse statue di imperatori delle famiglie giulio-claudia e flavia. Il cosiddetto “Heraion” divenne invece un luogo di ricovero per preziose dediche provenienti da altre zone del santuario, pur rimanendo un luogo di culto. Esso accolse inoltre statue che onoravano donne appartenenti alla classe dominante elea, fatto da mettere in connessione con la conversione di questo tempio (in origine, dedicato a Zeus) al culto di Era a partire dal I sec. a.C. Un altro edificio che celebrava una dinastia regnante era il Ninfeo, costruito per impulso di Regilla, moglie di Erode Attico. La complessa struttura mescolava intenti celebrativi e utilitari, creando nel contempo un imponente effetto scenografico grazie ai due bacini d’acqua coronati dall’esedra a due piani, decorata da nicchie ospitanti statue di imperatori (Adriano, Antonino, Marco Aurelio, Lucio Vero), nonché di membri della famiglia di Erode Attico. I Romani condussero altresì opere di restauro e miglioramento in tutto il santuario, soprattutto in seguito ai frequenti terremoti che tormentarono l’Elide. Tra il V e il VI sec. d.C. venne inoltre costruito un muro di fortificazione che comprendeva il tempio classico di Zeus e il Portico Meridionale, segno dell’insicurezza dei tempi.

Il capitolo 6, infine, getta uno sguardo sul santuario in epoca tardo-antica e medievale. La proibizione del culto pagano da parte di Teodosio, con la cessazione dei giochi nella prima metà del V sec. d.C., costituì senz’altro uno spartiacque. Una comunità cristiana è attestata nel sito durante il IV sec. d.C. e intorno al 420 d.C. la bottega di Fidia fu trasformata in una chiesa. Da questo momento un villaggio bizantino occupò il santuario, reimpiegando blocchi architettonici, fondendo metalli e riconvertendo l’intera area alla produzione agricola. Gruppi di origine slava si insediarono nella zona, convivendo con la comunità locale, ma i terremoti e le alluvioni portarono a un graduale abbandono del sito, probabilmente compiuto entro i primi decenni del IX sec. d.C.

Il volume di Barringer rappresenta uno studio completo e aggiornato sul santuario di Olimpia. Si tratta di un’opera che d’ora in poi costituirà un punto di riferimento, dato che l’autrice è riuscita a fornire un quadro dettagliatissimo sui molteplici aspetti della vita di questo santuario, inserendoli per di più in una prospettiva diacronica che rende ragione della sua evoluzione nelle diverse epoche. Per raggiungere questi risultati, Barringer ha padroneggiato una bibliografia quasi sterminata, relativa ai più disparati campi dell’antichistica. Infatti oltre a scandagliare i “classici” temi riguardanti questioni storiche, religiose, topografiche, architettoniche, storico-artistiche, la studiosa ha conferito un taglio innovativo alla sua indagine, grazie all’esame contestuale dei soggetti trattati e alla scelta di argomenti poco frequentati dalla ricerca (come la gestione e l’organizzazione delle attività quotidiane nel santuario, per esempio), non esitando ad elaborare ipotesi controcorrente.

La decisione di condurre un’analisi multilivello sul grande santuario panellenico, adottando una prospettiva storica, è ben evidente nell’organizzazione dei capitoli del libro, che seguono il sito dalle origini all’abbandono medievale. Ma questa scelta si lega anche all’intento di offrire alla comunità scientifica un approccio che possa essere impiegato negli studi futuri. L’opera consegue quindi due importanti obiettivi: da un lato costituisce un’analisi complessiva del santuario di Olimpia, dall’altro fornisce un nuovo standard per affrontare lo studio di un sito antico. Il volume è stato realizzato con grande accuratezza e precisione, inoltre è corredato da un ricco apparato illustrativo, sia con immagini in bianco e nero, sia con belle tavole a colori. Non mancano gli indici delle fonti e un indice generale. In conclusione, è facile prevedere che questo testo diventerà un classico.