BMCR 2021.01.10

Luciano di Samosata, La nave o le preghiere

, Luciano di Samosata, La nave o le preghiere. Introduzione, traduzione e commento. Texte und Kommentare, Band 61. Berlin; Boston: De Gruyter, 2019. P. 366. ISBN 9783110653144. €129,95.

Dopo il Timone,[1] Gianluigi Tomassi ci propone una nuova edizione con introduzione, testo, traduzione e commento della Nave o le preghiere di Luciano di Samosata. Rinnova il commento di Geneviève Husson[2] (vd. p.es. p. 193 «coppa di Sisifo», p. 212 Licino alter ego di Luciano, p. 284 costruzione testuale).

In quest’opera la vista di una gigantesca nave da trasporto proveniente dall’Egitto suscita le fantasie di Adimanto, Samippo e Timolao, ma i loro sogni di ricchezza e di potere vengono derisi da Licino, voce della satira.

Nell’introduzione si inizia con contenuto e struttura del dialogo (1.1). Tomassi definisce le strategie tra presentazione dei personaggi, occasione e sviluppo narrativo dei tre desideri, secondo le regole della retorica (e della satira), con una demolizione di Anderson (1982, 1994b), che vedeva nella Repubblica l’ipotesto del Navigium. Efficace è il confronto con Sen. Contr. 3 praef. 16, e il richiamo a Iuven. 10. Anche se si tratta di Euchai, definirei il motivo come “vanità dei desideri umani”, con le logiche del sogno che si intrecciano alle fantasie dei protagonisti. Ma troviamo in Tomassi anche la discussione indispensabile sul rapporto tra pseudos e aletheia.

Tomassi ritorna sulla datazione del dialogo con il richiamo alla discussione scientifica a partire da R. Helm (1.2). Per la datazione dopo il 165 d.C. è naturalmente guida sicura la natura menippea, con tutte le caratteristiche che stanno al culmine dello sviluppo della composizione lucianea, e non manca anche qualche appiglio post quem.

Per la tecnica compositiva Tomassi richiama le questioni che hanno il loro manifesto nella Doppia accusa. Una discussione è dedicata al passo programmatico (Bis acc. 26-34), tra la retorica, le vie del successo e poi le trasformazioni del dialogo attraverso le contaminazioni dello spoudogeloion. Sono le questioni della mixis lucianea.[3]

Per questo vanno valutate le relazioni con la tradizione letteraria (1.4). È vero che «Luciano non è un innovatore né un audace inventore di nuove teorie», ma si contraddistingue (o vuole contraddistinguersi) per «la maestria con cui sa rielaborare i materiali» in creazioni originali (p. 20). Il principio attivo sta proprio nello spoudogeloion. L’ibrido genera monstra (notevoli). Con tutte le conseguenze letterarie che ne verranno.

Per la realtà contemporanea (1.5), Tomassi illustra nei dettagli il contesto dell’azione, con la passeggiata tra il Pireo e la città. Sulla nave Iside si aprono le discussioni della critica, tra realtà e fantasia. Il viaggio e le peripezie della nave mostrano evidenti segnali romanzeschi (p. 33), come indica il paragone dei naufraghi. In Luciano, come sappiamo, v’è una vera e propria passione narrativa per i viaggi. Per la nave e le sue caratteristiche si può affermare che presenti evidenti tratti realistici. Per la portata L. Casson aveva ipotizzato circa 1200 t., attraverso un confronto con le grandi navi onerarie romane, e con navi eccezionali come la Syrakosia-Alexandris. Certo rimangono i dubbi sulle dimensioni e su dettagli che sembrano falsati dall’ekphrasis letteraria. Ma Tomassi mette in rilievo anche altri realia, tra le indicazioni topografiche e i segnali sociali di ricchezza e povertà.

I protagonisti del dialogo (1.6) appaiono come tipi comuni, ma non mancano di caratterizzazione. Tra desideri di vendetta, aspirazioni dispotiche o evergetiche, «dando libero sfogo alle passioni e alle aspirazioni, forniscono di se stessi e dell’umanità in generale un autoritratto ironico e impietoso». Con qualche contatto biografico con figure reali.

Adimanto è il parvenu che richiama la grandeur di Erode Attico.

Licino è l’alter ego di Luciano, o con bella definizione è il doppio ateniese dell’autore (p. 45). Meritava forse un’analisi a parte, ma tutte le indicazioni importanti ci sono. Ha il compito di criticare la vita degli uomini, il riso è la sua ragione di vita (Nav. 46). Nei confronti degli amici svolge un ruolo maieutico sulle tracce di Socrate. Alla fine non gli resta che il biasimo: i compagni dichiarano di onorare la filosofia, ma i vizi e le illusioni sono quelle di tutti.

Samippo è l’ambizioso e il volitivo, sceglie il potere, ma gli schemi sono quelli di un miles gloriosus (D. meretr. 9): supera perfino Alessandro Magno, anche come bersaglio satirico per il typhos e la philodoxia in una grottesca versione del Romanzo di Alessandro, e non senza una parodia di Arriano (p. 51). Per le ambizioni militari sicuramente c’è un richiamo alle Guerre Partiche con qualche allusione a Lucio Vero.

Timolao è uno che vuole sentirsi pari a un dio, con una passione formidabile per la menzogna e il fantastico: Tomassi ce lo presenta come il doppio negativo dell’Icaromenippo (p. 57).

“Esecuzione, stile e lingua del dialogo” (1.7). Secondo schemi teatrali, dalle prime battute abbiamo tutte le informazioni: protagonisti, occasione, contesto (p. 58). Poi, nello sviluppo del dialogo, Luciano tiene costantemente nota l’identità del personaggio che sta parlando con un sistema di segnali. Anche se la lingua dà l’impressione di spontaneità, il testo è fitto di elementi retorici (p. 62). Si incontra una molteplicità di figure paradigmatiche e di espedienti umoristici. Lunga è la serie dei temi diatribici e dei topoi. Tomassi intravede i segnali di una caratterizzazione dei personaggi anche attraverso le variazioni della sintassi. La lingua di Luciano è straordinariamente ricca, con una prevalenza di termini dell’epoca classica, ma non mancano innovazioni e usi particolari del lessico.

Nella “Nota testuale” (1.8, p. 67) troviamo i casi, in tutto 26, in cui Tomassi si è discostato dall’edizione oxoniense di MacLeod (1987), discussi singolarmente nel commento.

Il volume presenta testo e traduzione, e il ricco commentario. Vediamo solo alcuni punti seguendo il testo.

Nav. 1. A proposito di ϕιλοθεάμων, «amante degli spettacoli», Tomassi sa unire prospettive di analisi diverse e anche opposte per mettere a fuoco il significato e la funzione. Forse meglio «visitatori» per θεατῶν, anche se certamente per la ‘grande nave’ la dimensione spettacolare è forte (p. 105).

Nav. 2. Del giovane egizio è in evidenza la parlata greca con un accento locale. Le questioni linguistiche sono importanti per Luciano ai tempi della Seconda Sofistica, con una «piena consapevolezza del carattere cosmopolita dell’impero romano» (p. 116).

Nav. 6. Sulla traduzione «esperto di marineria più di Proteo», forse il paragone per τὰ θαλάττια richiede una indicazione più generica, p. es. «esperto di mare». Lo scarto può funzionare a marcare l’iperbole. Ma spiegazioni puntuali sono nel commento.

Nav. 7-9. Dopo la descrizione delle caratteristiche tecniche della nave, viene la narrazione del viaggio, che come rileva Tomassi unisce elementi realistici ai topoi romanzeschi. Ampio commento è dedicato alla rotta del viaggio dell’Iside, con tutti i riferimenti geografici e intertestuali utili.

Nav. 10. La figura di Adimanto è caratterizzata con pochi tratti, che però sono parte dell’efficace tecnica lucianea di presentazione dei personaggi. Ben rilevata nel commento è la sarcastica battuta finale sul pilota, che raddoppia il paragone di Proteo, rovesciandone però il segno.

Nav. 11. Il riferimento al silenzio rientra nelle schermaglie del dialogo lucianeo, che andrebbero qui meglio sottolineate, perché diventano strategie della narrazione e della performance, come pur con obiettivi diversi in Nec. 2.[4]

Nav. 12. Nella traduzione «un tipo di ricchezza», forse sarebbe meglio semplicemente «una ricchezza», più indefinita.

Inizia il racconto del sogno a occhi aperti delle fortune di Adimanto, che potrebbero ricordare quelle ostentate da Trimalchione in Petronio. Nel commento ogni elemento è spiegato, dal detto κοινὸς ῾Ερμᾶς alla Stoa Poikile al tempo di Luciano.

Subito Licino (Nav. 14) rilancia la dimensione fantastica del racconto, preparando così le sue prospettive satiriche (Nav.15 ἐν γέλωτι καὶ σκώμματι, καταγελᾶσθαι, 16 παιδιᾶς e l’«inondare di riso», πολλῷ τῷ γέλωτι ἐπικλύσας, «con una mirabile sovrapposizione tra linguaggio reale e figurato», p. 174). Troviamo qui una nota approfondita, che indica le vie del riso per la costituzione di una «satirical community» (Whitmarsh 2004). Ottima è la valutazione dal punto di vista del Witz anche per i realia materiali che entrano nel dialogo, come i quattro oboli per il noleggio di una barca da Atene a Egina (p. 169).

Nav. 17. Per l’attenzione alle strutture dialogiche e all’inizio della narrazione si potrebbero forse tracciare qui altri paralleli lucianei, p. es. Nigr. 8, Anach. 16, 18, Peregr. 3, Luct. 1, Merc. cond. 3.

Nav. 19. La battuta ‘razionalistica’ di Licino scardina il desiderio di trasformare il carico di grano in oro: richiama altri smascheramenti, come quello della porpora che è tinta con i molluschi e quella delle lane più pregiate che non sono altro che il vello di una pecora.

Nav. 21. La varietà delle immagini intorno al motivo della ricchezza tocca anche il mito tra Sisifo e Mida, a cui Tomassi aggiunge il Tantalo di Tim. 18, per valutarne l’efficacia (p. 196): i paradigmi mitici si intrecciano con gli ipotesti poetici attorno al peso di una coppa d’oro e riecheggiano i motivi della satira contro l’ostentazione della ricchezza – come nel Satyricon, buon paradigma di confronto (p. 194). Così i ricchi, a paragone della sognata ricchezza di Adimanto, diventano degli Iri, epici mendicanti, in un plurale iperbolico molto lucianeo (Nav. 24 ῏Ιροι, vd. p. 208).

Nav. 22. Un buon esempio della complessità del testo è nel motivo della salutatio romana, che è qui messa in scena ad Atene e che ritorna più volte come bersaglio lucianeo (p. 199).

Per la satira sono notevoli i segnali della risposta del bersaglio: Nav. 27 ὑπεναντίος meriterebbe di diventare una definizione della voce satirica, come λάλος ed ἐπισκώπτει (Nav. 25), con le conseguenze ‘punitive’ contro la parrhesia.

Nav. 29. Nel sogno di Samippo di diventare un generale e un re valgono i paragoni storici ellenistici a cominciare da Alessandro, ma nel linguaggio emergono anche gli elementi della paideia, come negli omerici ἀνέρας τοὺς ἀσπιδιώτας.

Nav. 33. La ‘vigliaccheria’ di Licino potrebbe agire come un understatement, una autoironia che prepara l’attacco. Agisce attraverso una improvvisa rottura della finzione, peraltro costruita sugli schemi dei dialoghi platonici (p. 248), giusto in mezzo alle incredibili imprese militari di Samippo (Nav. 35) (lo schema ritorna al § 37, p. 254). Dopo la vittoria, per il nuovo formidabile re c’è la proskynesis dei Persiani, che ovviamente non può valere per i Greci (Nav. 38, vd. p. 257).

Nav. 39. La satira di Licino arriva implacabile, con tutte le categorie della infelicità del re, mentre secondo gli schemi satirici ci pensa l’uguaglianza della malattia e della morte a riportare Samippo tra i mortali. La febbre non fa differenze e non riconosce i titoli regali. La scelta delle parole e i giochi linguistici contraddistinguono la tirata finale di Licino, tra le steli e i monumenti, a definire la vanità dei sogni umani.

Nav. 41. Il parossismo dei desideri culmina con Timolao. La sequenza degli anelli e dei poteri trovano spiegazioni nelle credenze magiche, con le documentazioni letterarie tra Platone, Apollonio Rodio e la serie di paralleli. C’è anche il potere di volare, di raggiungere le sorgenti del Nilo o gli antipodi dell’oikoumene, con una rapidità formidabile e la possibilità di vedere tutto. Sono motivi che ritroviamo nelle invenzioni dell’Icaromenippo o della Storia vera (p. 280).

Nav. 46. Manca solo il desiderio di Licino. Ma è la sua voce che chiude il dialogo con il sigillo del riso (γελάσαι μάλα ἡδέως): rimane come ultima via di libertà. E la critica è rivolta soprattutto ai pepaideumenoi.

Al commento segue un apparato iconografico sulle navi e sul viaggio dell’Iside (pp. 299-318). Una bibliografia aggiornata completa il volume, insieme con gli indici dei nomi e delle cose, dei termini greci e degli autori antichi.

Il testo è ben curato, con qualche minima svista e pochi refusi: p. 59 Dipylon; p. 75 l’indicazione del paragrafo [5]; p. 81 dirti ciò che pensavo; p. 150 Bis acc.; p. 186 personaggio.

Come avevamo sottolineato già per il commento al Timone,[5] abbiamo a disposizione uno strumento notevole per la conoscenza di Luciano, tra la paideia e il mondo contemporaneo.

Notes

[1] G. Tomassi, Luciano di Samosata. Timone o il misantropo, Berlin; New York 2011.

[2] G. Husson, Lucien. Le navire ou les souhaits, Paris 1970.

[3] E. Marquis, A. Billault (edd.), Mixis: le mélange des genres chez Lucien de Samosate, Paris 2017.

[4] A. Camerotto (ed.), Luciano di Samosata. Menippo o la negromanzia, Milano; Udine 2020, 107-109.

[5] «Exemplaria Classica»16 (2012), 313-324.