BMCR 2018.10.47

La scrittura geroglifica minoica sui sigilli: il messaggio della glittica protopalaziale. Bibliotheca di “Pasiphae,” 12

, La scrittura geroglifica minoica sui sigilli: il messaggio della glittica protopalaziale. Bibliotheca di "Pasiphae," 12. Pisa; Roma: Fabrizio Serra editore, 2016. 275. ISBN 9788862278768. €160.00 (pb).

Il volume affronta il delicato problema della scrittura geroglifica cretese su sigilli che, rispetto alle attestazioni della stessa scrittura sui documenti di tipo economico (barre, tavolette, crescenti, medaglioni etc.) segue una logica totalmente diversa e di non univoca interpretazione.

Il capitolo introduttivo (pp. 9-13) è nella sua parte iniziale, un utile excursus, ampliato poi nel capitolo successivo, sulle principali opinioni riguardo la scrittura “geroglifica” su sigilli, partendo dalle prime idee di Arthur Evans e Maurice Pope, seguendo gli interessanti e fondamentali sviluppi della ricerca nei contributi di Jean-Claude Poursat e soprattutto di Jean-Pierre Olivier, fino ad arrivare alla realizzazione del corpus della scrittura geroglifica ( Corpus Hieroglyphicarum Inscriptionum Cretae, di seguito CHIC) ad opera dello stesso Olivier e di Louis Godart.1

Giustamente viene sottolineato che uno dei temi trattati nel presente volume, e cioè la scelta operata in CHIC di considerare alcuni segni su sigilli come una decorazione e non come segni di scrittura, è stata anche discussa da Margherita Jasink,2 sebbene con conclusioni totalmente diverse. Viene anche ricordata l’opinione di Giorgia Flouda3 riguardo alle possibili correlazioni fra il tipo di materiale di cui è fatto il sigillo, le sue dimensioni e la sua forma, aspetto che verrà poi ripreso nei capitoli successivi. Nel resto del capitolo l’autrice spiega quali saranno le linee guida della sua ricerca, svelando immediatamente che intende “tratteggiare un quadro interpretativo pluridimensionale che tenga conto del ruolo, delle funzioni e delle connotazioni della scrittura secondo un’impostazione teorica quanto più possibile ‘antropologica’” (p. 16).

Nel primo capitolo si ripercorrono le idee fondamentali di Evans sul “geroglifico cretese” e vengono commentate nel dettaglio e chiaramente le premesse di CHIC su cosa sia scrittura e cosa sia decorazione sui sigilli minoici. Le diverse categorie nelle quali Olivier e Godart hanno classificato i segni esclusi dal segnario “geroglifico” ( Décoration non signifiante évidente, Décoration éventuellement signifiante, évidente et non évidente etc.) sono chiaramente spiegate anche con l’ausilio di una buona presentazione grafica delle iscrizioni (peraltro molto chiara ed esaustiva in tutto il volume). Chiude il capitolo una breve analisi del lavoro della Jasink sulle scelte editoriali e interpretative degli autori di CHIC, lavoro di cui l’autrice, pur condividendone i presupposti, non accetta le conclusioni.

Nel secondo capitolo vengono trattati aspetti più tecnici delle iscrizioni su sigillo. Dopo aver preso in considerazione l’evoluzione di materiali e forme fra AM e MM, sono approfonditi gli accorgimenti estetici dei sigilli e gli espedienti grafici utilizzati dagli incisori minoici, come la duplicazione e il “ badge acronymique ”. Viene anche affrontato il problema del senso di scrittura che in molti casi sembra seguire un ordine, per noi apparentemente illogico, mentre, come giustamente sottolineato, il lettore sapeva cosa leggere e come leggere il messaggio affidato al sigillo.

Una parte consistente del capitolo è poi consacrata alle cosiddette “formule” e i cosiddetti “altri gruppi di segni” e al tentativo di ricercare una sorta di “sintassi” nelle iscrizioni su sigilli a multifaccia, partendo dalla frequente attestazione delle “formule” sui sigilli prismatici a tre e a quattro facce (e in particolare le “formule” 1 e 2 di Poursat) fino ad intravedere una sorta di “gerarchia” nell’apparizione delle suddette “formule” sulle diverse tipologie di prismi. Sono quindi discusse le tante ipotesi avanzate da Olivier e Poursat nei loro fondamentali articoli su questi aspetti. È poi preso in considerazione l’orientamento reciproco delle iscrizioni sui prismi, aspetto in passato trattato da John Younger, rispetto al quale l’autrice ritiene non si possano fornire ulteriori precisazioni circa la posizione delle “formule”, il loro orientamento o senso di lettura.

Viene poi indagato il rapporto esistente fra il tipo di pietra di cui sono fatti i sigilli e la forma e la dimensione dei sigilli stessi così come è stato fatto in passato da Olivier e da Artemis Karnava.4 Sono poi prese in considerazione tutte le tipologie di documenti sigillati e giustamente viene sottolineato che su alcune di queste tipologie di documenti non era indispensabile che comparisse l’intero messaggio affidato ad un sigillo, come dimostrano le rondelle di Samotracia dove solo una parte della cosiddetta “formula” di Archanes è impressa.

Nel terzo capitolo è trattato il rapporto fra segni, icone e prestigio. Viene giustamente sottolineato che anche i segni isolati che non sono stati inseriti in CHIC possono avere un loro significato e una loro importanza sui sigilli, sia che a questi segni corrisponda un vero valore fonetico sia che abbiano solo un valore iconico o simbolico. Sempre nell’ambito dei segni non inclusi in CHIC è giustamente sottolineato che sigilli che presentano segni che assomigliano soltanto a segni di scrittura potrebbero essere stati dei simboli di prestigio per il solo fatto di sembrare iscritti.

Vengono quindi presi in considerazione i segni di decorazione disposti in maniera lineare come a imitazione della scrittura e i cosiddetti “segni fuori sistema” che non rientrano fra quelli del sistema “geroglifico” ma che sembrano avere una loro significatività come lo stambecco, il maiale, il ragno, il serpente e soprattutto il gatto, che come giustamente sottolineato è sempre in associazione con una delle cosiddette “formule” o un hapax bisillabico. L’autrice ritiene che questi segni, privi di una vera funzione scrittoria, avrebbero avuto la funzione di icone, rimandando simbolicamente a qualcosa o a qualcuno ma senza la necessità di una mediazione linguistica.

Viene poi affrontato il problema dell’origine dei simboli della glittica minoica partendo dall’analisi delle prime forme di sigillo risalenti all’AM II e durante tutto il periodo prepalaziale, analizzando le prime decorazioni e i diversi materiali (avorio, osso, pietra morbida e white paste) e ipotizzando che l’uso dell’avorio per i sigilli fosse un aspetto intenzionalmente ostentato, trattandosi di un prodotto di importazione.

Viene ancora una volta affrontato il ruolo della cosiddetta “formula di Archanes”, l’unica parola (A-SA-SA-RA-NE, letta con i valori fonetici della lineare B), in comune fra il “geroglifico” cretese e la lineare A. L’autrice ammette l’assenza imbarazzante di una tradizione glittica nell’ambito socioculturale della lineare A che ha creato negli anni una solida opinione comune che considera i sigilli con la “formula” di Archanes come delle normali iscrizioni in “geroglifico”, ma ciò nonostante non decide a quale sistema scrittorio attribuire tale sequenza. Ritiene quindi che le differenze nell’uso di questa “formula” rispetto alle altre “formule” potrebbero essere dovute alla “pertinenza ad un orizzonte scrittorio diverso da quello geroglifico” (p. 166).

Il capitolo si conclude tentando, “con la massima cautela”, di collegare gli stadi più antichi dell’elaborazione di sistemi grafici e simboli caricati di un profondo valore emblematico e il patrimonio simbolico proprio della glittica. Qui come in quasi tutto il volume si tenta di dimostrare, come già fatto da altri (Kostas Sbonias, Ilse Schoep e Judith Weingarten, ad esempio), che alcune icone fossero l’espressione di gruppi sociali, famiglie o clan e che la comparsa e la scomparsa di una determinata iconografia corrisponda all’affermarsi o al tramonto di un determinato clan.

Il capitolo delle conclusioni è strutturato, sulla base del modello multiplanare di Perri,5 intorno a sei parole chiave, Writers, Readers, Instrumentalities, Textualization, Interpretive context, Norms, e Genres, ridotte per acronimia in un’unica parola, W.R.I.T.I.N.G. Tutte le principali idee presenti nei capitoli precedenti sono qui ricordate.

In fondo al volume compaiono un gruppo di tavole relative alle attestazioni di “formule” e “altri gruppi di segni” e due Appendici. La prima è un utile catalogo sinottico delle edizioni dei sigilli iscritti in CHIC e nel CMS, suddiviso in impronte di sigilli, sigilli, sigilli prismatici a tre e a quattro facce. La seconda è un catalogo dei sigilli e delle impronte che presentano un’iscrizione, editi dopo la pubblicazione di CHIC. Chiude il volume una esaustiva bibliografia.

Il capitolo 1 è utile a quanti, avvicinandosi a questa scrittura, vogliano farsi un’idea dello stato della ricerca sul “geroglifico” cretese. Nei capitoli 2 e 3, inoltre, sono ben evidenziati tutti i legami fra i più significativi gruppi di segni e i segni che invece non hanno un valore fonetico ma che ugualmente veicolano un messaggio di tipo diverso (iconico, simbolico) rispetto a quello strettamente linguistico. Questo aspetto è ricordato e sviluppato convincentemente a più riprese. È evidente a tal proposito che un notevole sforzo è stato fatto per raccogliere i dati statistici relativi ai gruppi di segni e ai simboli presenti sui sigilli e questi dati sono di una certa utilità a chi si avvicina a questi documenti, anche se sarebbe stato utile investigare maggiormente i gruppi di segni che si nascondono dietro i due termini “formula” e “altri gruppi di segni”, magari prendendo spunto dalla “formula” di Archanes, la sola parola in comune al “geroglifico” e la lineare A, studiando proprio le sue attestazioni in lineare A.

Di grande utilità sono anche le tavole inserite nel testo e quelle in fondo al volume, come anche il contenuto delle due Appendici che sarà molto apprezzato dagli specialisti di questi testi. Va sottolineato però che l’autrice in tutto il volume, per ogni problema, sceglie quasi sempre una fra le varie opinioni avanzate dai principali studiosi senza portare mai un elemento di novità. Un altro aspetto a nostro avviso non condivisibile è quello di aver applicato i metodi d’indagine della linguistica generale alla documentazione, con “un’impostazione teorica quanto più possibile ‘antropologica’” (p. 16).

Infatti, nel caso di una scrittura decifrata alcuni concetti generali su linguaggio e scrittura trattati da specialisti come Cardona, Perri, Valeri etc. risulterebbero certamente utili a comprendere quella parte di messaggio affidata all’iconicità e non alla scrittura, ma nel caso di una scrittura non decifrata come il “geroglifico” cretese la scelta ci sembra inappropriata. Soprattutto nella seconda parte del capitolo introduttivo (ma anche altrove) il discorso si fa difficilmente comprensibile per l’utilizzo di un codice linguistico proprio della linguistica generale, con l’utilizzo di termini tecnici spesso inutilmente complessi (vedi l’uso frequente di parole come “alterità” al posto di “diversità” o come “gestaltico” con un riferimento, decisamente non indispensabile, alla corrente terapeutica della Gestaltpsychologie) che a tratti dà l’idea di essere troppo autoreferenziale. Tutto ciò rende il discorso poco comprensibile agli utenti di lingua italiana e ancor meno ai lettori stranieri.

Inoltre, il tentativo di comprendere il valore e il significato della scrittura su sigilli tirando in ballo alcuni aspetti, peraltro a noi totalmente sconosciuti, della società minoica e particolarmente quella prepalaziale (p. 16), menzionando l’esistenza di “élite in forte ascesa” che avrebbero riversato nei sigilli “precisi connotati politici e sociali”, espone il fianco all’obiezione che il termine “élite” rappresenta una moderna creazione, un termine alla moda del quale si è molto abusato, una precisa definizione della situazione politica dell’AM II che invece stona con la nostra totale ignoranza delle strutture politiche della società minoica in questo periodo e non solo. Per la stessa ragione ci sembra difficile condividere l’idea (p. 175) che la scomparsa di una certa iconografia sui sigilli possa dimostrare da sola il tramonto di un determinato clan, per quanto questa ipotesi sia condivisa da un certo numero di specialisti della glittica minoica.

Ma a parte questi aspetti, nell’insieme si tratta di un lavoro rigoroso ed utile a chi voglia addentrarsi nel labirinto dei testi in “geroglifico” cretese.

Notes

1. J.-P. Olivier – L. Godart, Corpus Hiéroglyphicarum Inscriptionum Cretae, Études Crétoises 31, Paris, 1996.

2. M. Jasink, Cretan Hieroglyphic Seals: A New Classification of Symbols and Ornamental/Filling Motifs, Biblioteca di “Pasiphae” 8, (Pisa; Roma, 2009).

3. G. Flouda, Materiality of Minoan Writing: Modes of display and perception, in Piquette K.E. and Whitehouse R.D. (eds.), Writing as Material Practice: Substance, Surface and Medium, (London, 2013), pp. 143-144.

4. A. Karnava, The Cretan Hieroglyphic Script of the Second Millennium BC: Description, Analysis, Function and Decipherment Perspectives, PhD Dissertation, Université de Bruxelles.

5. A. Perri, “Writing”, in A. Duranti (ed.), Key Terms in Language and Culture, in Journal of Linguistic Anthropology, vol. 9, pp. 274-276.