BMCR 2010.06.18

Menanders Kolax: ein Beitrag zu Rekonstruktion und Interpretation der Komödie

, Menanders Kolax: ein Beitrag zu Rekonstruktion und Interpretation der Komödie. Mit Edition und Übersetzung der Fragmente und Testimonien sowie einem dramaturgischen Kommentar. Untersuchungen zur antiken Literatur und Geschichte, Bd. 99. Berlin/New York: Walter de Gruyter, 2009. ix, 188. ISBN 9783110221275. $139.00.

Il libro di Pernerstorfer (P.) giunge a colmare una lacuna negli studi menandrei. Mancava, infatti, un commento aggiornato ed esaustivo del Kolax e, soprattutto, un’analisi particolareggiata volta alla ricostruzione della mise en scène.

Il volume si compone di una breve introduzione e di dieci capitoli: prima di affrontare l’edizione e la traduzione dei frammenti, P., descrive dettagliatamente le fonti papiracee e prende posizione sulla questione del numero dei parassiti. Nel commento drammaturgico e nel capitolo successivo vengono ricostruite e commentate le singole scene della commedia. Infine, negli ultimi quattro capitoli, P. esamina il rapporto tra alcune sentenze menandree e il Kolax, adduce argomentazioni a favore dell’attribuzione alla commedia di tre versi ricavati da un passo plutarcheo, e fa un excursus sul significato e sulla funzione dei concetti di παράσιτος e di κόλαξ. Il libro è corredato da un registro delle abbreviazioni — di cui forse si poteva fare a meno con un semplice rinvio al Neue Pauly e/o all’Année Philologique — e da una bibliografia in due sezioni, la prima dedicata alle edizioni critiche e ai commenti, la seconda agli studi di carattere generale. Stupisce l’assenza di indici, che sarebbero stati quanto mai preziosi per la consultazione del commento.

Nell’introduzione P. si dedica soprattutto all’analisi del titolo della commedia, accennando alla storia del termine kolax e all’evoluzione del suo valore semantico (diffusamente trattate nel X capitolo), anche alla luce del dibattito filosofico contemporaneo a Menandro. Mentre, infatti, nell’ archaia la parola κόλαξ indica la figura del parassita (il termine παράσιτος fu introdotto, secondo la testimonianza di Athen. VI 237a da Araros, il figlio di Aristofane)1 e nella mese non viene operata pressoché alcuna distinzione fra i due termini, impiegati spesso in maniera interscambiabile (cfr. ad es. Alexis fr. 262 K.-A.), ai tempi di Menandro, quando παράσιτος aveva ormai sostituito nel lessico teatrale l’antica definizione di κόλαξ, non era affatto comune utilizzare quest’ultima per indicare il “normale” parassita. La discussione è funzionale a determinare che tipo di personaggio fosse il protagonista del Kolax di Menandro: secondo P. un parasitus colax, un parassita adulatore, al seguito di un miles gloriosus (probabilmente per la prima volta nella storia del teatro europeo). P. fornisce poi una veloce panoramica sulla fortuna del Kolax presso i commediografi latini (soprattutto Terenzio, che nell’ Eunuchus attinse tanto all’omonima commedia quanto al Kolax) e nell’antichità in generale, prima di riassumere sistematicamente capitolo per capitolo i contenuti del suo studio.2 Sarebbe stato forse utile e ‘leserfreundlich’ in sede di introduzione fornire una piccola anticipazione sulla possibile trama della commedia, di cui si dà per scontata la conoscenza nei capitoli successivi.

Dopo aver tracciato la storia degli studi sul , P. passa alla descrizione dettagliata delle fonti papiracee. Convincenti appaiono le argomentazioni addotte da P. a sostegno della propria interpretazione dei segni diacritici utilizzati dallo scriba di P.Oxy.409+2655 per segnalare cambio di battuta e fine di excerptum. Interessante è anche la discussione sulla possibile funzione di una tale raccolta. Giustamente a mio avviso P. predilige l’ipotesi, sostenuta anche da Pernigotti e da Blume, secondo la quale essa avrebbe avuto origine in un ‘literaturwissenschaftlicher Kontext’ (in questo modo si spiega anche la presenza di due scoli) e sarebbe stata probabilmente destinata all’insegnamento, mentre respinge la proposta di Gentili3 di interpretare la raccolta come una ‘Spielvorlage’ per un gruppo di attori. P. sottolinea, infatti, e a ragione, la necessità di distinguere tra la destinazione originaria della raccolta e gli usi che ne furono eventualmente fatti in seguito.

Il terzo capitolo è dedicato ad uno dei problemi cruciali per la ricostruzione della commedia: il numero dei parassiti. P. fa un rapido resoconto dello status quaestionis motivando con argomentazioni condivisibili la propria presa di posizione contro la tesi dei due parassiti. Se da un lato, infatti, la scoperta del P.Oxy. 3534, che riporta la sigla nominale del kolax Struthias, induce ad escludere che il vero nome del protagonista fosse Gnathon — attestato in P.Oxy. 1237 —, dall’altro, come giustamente sottolinea P., nel testo a noi conservato non sono presenti indizi che provino inequivocabilmente la presenza di due personaggi nella funzione di parassita, uno al seguito del soldato Bias (Struthias), l’altro a seguito del giovane innamorato Pheidias (Gnathon). P., tuttavia, a differenza di altri sostenitori dell’identità di Gnathon e Struthias,4 non abbraccia l’ipotesi di Kuiper,5 secondo la quale Gnathon, parassita a “servizio” presso Pheidias, per fare il buon gioco del proprio padrone, si sarebbe accattivato il favore del soldato Bias sotto il falso nome di Struthias: i frr. 2, 3 e 4 mostrano infatti chiaramente che il kolax fa parte già da lungo tempo del seguito del soldato e presuppongono un passato condiviso da entrambi. P. sostiene, al contrario, che Struthias, kolax a servizio del soldato, fosse chiamato con il soprannome di Gnathon dal giovane innamorato (probabilmente suo ex “padrone”), del quale il parassita avrebbe ad un certo punto della commedia preso le parti, contribuendo in maniera decisiva all’happy ending.6

La sezione dedicata all’edizione e alla traduzione dei frammenti è preceduta da tre tavole sinottiche (una per i frammenti provenienti da papiri, l’altra per i frammenti di tradizione indiretta e la terza per i testimoni), con le corrispondenze tra le varie edizioni (oltre a quella di P., Körte, Sandbach, Austin e Arnott) per quanto riguarda conteggio dei versi e numerazione dei frammenti. P., unico fra gli editori, attribuisce al Kolax v. 5 di uno gnomologion conservato in P.Oxy. 3005 col. ii, 57 e tre versi ricavati da Plut. de adul. et am. 19. 61C (fr. 10); a quest’ultimo frammento è dedicato l’VII cap. (“Ein neues Menander-Fragment?”).

Il commento drammaturgico si lascia apprezzare per accuratezza e lucidità. P. presenta al lettore la propria interpretazione con solide argomentazioni, senza tuttavia mancare di esporre altre soluzioni che sulla base del testo risultano almeno plausibili. Particolarmente convincente mi sembra la ricostruzione delle prime due scene della commedia. P., contrariamente alla maggior parte degli studiosi, propende per l’attribuzione del monologo iniziale (vv. 1-13) al servo Daos, anche se nella sua analisi soppesa altresì gli argomenti di quanti, invece, lo attribuiscono al padrone Pheidias. Per quanto riguarda la scena B, contro la communis opinio secondo la quale i vv. 13-54 sarebbero da suddividere tra Pheidias e Gnathon (ipotesi dei due parassiti), P. individua i due interlocutori in Daos e Pheidias: il primo riferirebbe quanto visto al mercato, ovvero l’arrivo del soldato Bias, e cercherebbe di fare coraggio al padroncino, disperato per la comparsa del rivale. Nel seguito del dialogo il servo parlerebbe in tono sprezzante di Struthias alias Gnathon (e non come voluto dai più di Bias): questi, soltanto l’anno precedente tanto povero da essere definito πτωχός e νεκρός, aveva fatto il suo ingresso al mercato in grande stile con un seguito di servi. I commenti di Daos sul parassita fungerebbero, secondo P., da indicazioni di regia, preannunciando l’entrata in scena di Struthias, collocabile tra v. 45 e v. 46. P. interpreta, infatti, il segno diacritico a v. 45 come il residuo di una diple obelismene che segnala fine di excerptum : tra v. 45 e v. 46 P. postula la presenza del monologo di Struthias in cui il parasitus colax si vanterebbe della propria abilità nell’arte parassitico-adulatoria, da lui stesso inventata (cfr. Ter. Eun. 232-264). Condivisibile appare anche la scelta di P. di considerare vv. 91-125 (terza scena = excerptum C) come appartenenti allo stesso excerptum, al contrario di Webster e Arnott,8 che dividono il passo in due sottosezioni: particolarmente fondate mi paiono le osservazioni di P. a favore dell’identificazione dell’interlocutore di Pheidias nei vv. 91-100 con Struthias e non, come vuole la communis opinio, con Daos. Per riassumere: secondo P. il kolax Struthias, ora a seguito di Bias, ma precedentemente a “servizio” come parasitus edax presso Pheidias con il soprannome di Gnathon, offrirebbe il suo aiuto all’ex “padrone”, proponendogli di intrigare contro il soldato suo rivale in amore. Nel seguito della commedia si assisterebbe al rapimento dell’etera contesa tra Pheidias e Bias (da cui la ragazza era stata regolarmente “affittata”) da parte del giovane innamorato e ad una scena di assedio della casa di questi da parte del soldato. La commedia si chiuderebbe con la vittoria di Pheidias e il successivo compromesso con Bias (cfr. Ter. Eun. vv. 7-9, 1025-1094): il ragazzo avrà l’etera come amante e il soldato si accontenterà del ruolo del “dumme zahlende Dritte”.

Il VI capitolo Rekonstruktion und Interpretation si segnala per l’interessante ipotesi relativa alla maschera del parassita del Kolax : sulla base del confronto con una statuetta di terracotta proveniente dal Museo Nazionale di Atene (Athen 5059, Misthos 476) raffigurante un parassita con una delle due sopracciglia sollevate (secondo Poll. IV 120 caratteristica del κόλαξ), P. immagina che il protagonista della commedia indossasse una maschera asimmetrica, che mostrava da un lato un’espressione serena e amichevole (per il ruolo del παράσιτος), dall’altro sopracciglia sollevate e espressione arcigna tipiche del κόλαξ intrigante. In questo modo Menandro avrebbe reso evidente agli occhi degli spettatori la duplice natura di Struthias: “für Pheidias…der witzige Freund und Helfer, für Bias…ein hinterhältiger Schmeichler” (p. 127). Meno riuscita appare invece la sezione del capitolo relativa all’interpretazione in chiave politica della commedia. P. si propone di leggere il Kolax come una critica ad un fenomeno sociale e qualifica l’intento di Menandro come “politico”, senza tuttavia fornire ulteriori specificazioni.

Nei capitoli conclusivi P. affronta alcuni argomenti non direttamente legati all’edizione e al commento della commedia, come ad es. la probabile dipendenza dal Kolax di alcune delle cosiddette Menandri sententiae nel VII capitolo o l’analisi del ‘Begriffspaar’ παράσιτος e κόλαξ nel X capitolo. Qui P. riprende e sviluppa la tesi di H.-G. Nesselrath di una differenziazione dei concetti di kolax e di parasitos ai tempi della Commedia Nuova, difendendola a ragione contro le critiche di P. G. McC. Brown.9 In particolare P. nota come la suddetta differenziazione non abbia portato sempre e comunque ad una polarizzazione dei due concetti, ovvero ad una connotazione positiva per il parasitos e negativa per kolax e sottolinea la necessità di una “Unterscheidung zwischen dem Sprachgebrauch auf der Komödienbühne bzw. für die sogenannte Komödienfigur und in der Alltagswelt” (p. 165). Particolarmente interessante infine è il capitolo VIII, dedicato ad un “nuovo frammento” del Kolax, in cui P. argomenta la sua scelta di inserire nell’edizione un frammento ricostruito sulla base di una proposta di C. Austin da un passo di Plutarco ( mor. 61C), identificando nel Bias citato da quest’ultimo non il leggendario saggio di Priene, bensì il personaggio della commedia menandrea. In particolare P. fa notare come non sia da escludere che Menandro abbia giocato con l’omonimia dei due, mettendo in bocca al soldato fanfarone una citazione del sapiente, vera o presunta che sia.

In conclusione possiamo affermare che P. con il suo lavoro non solo ha apportato un contributo importante alla filologia menandrea, ma in generale ha prodotto un volume di cui potranno giovarsi tutti coloro che si occupano di teatro antico.10

Notes

1. Cfr. H.-G. Nesselrath, Lukians Parasitendialog, Berlin/New York 1985, pp. 102s., n. 314.

2. Segnaliamo una piccola svista dell’autore che, nella sintesi del volume offerta nell’introduzione (p. 7), dimentica di menzionare il penultimo cap. ( Datierung des Kolax), trattando l’ultimo capitolo, “Zum Begriffspaar κόλαξ und παράσιτος”, come se fosse il nono.

3. C. Pernigotti, “Menandro a simposio? P.Oxy III 409 + XXXIII 2655 e P.Oxy. LIII 3705 riconsiderati”, ZPE 154, 2005, 69-79; H.-D. Blume, “Wiederlesen macht Freude. Bemerkungen zum Kolax des Menander”, in: Kolde, A. Lukinovich u. A.-L. Rey (Hgg.) Κορυφαίῳ ἀνδρί. Mélanges offerts à André Hurst, Genève 2005, 33-39; B. Gentili, Theatrical Performances in the Ancient World. Hellenistic and Early Roman Theater, Amsterdam/Uithoorn 1979, pp. 20-22 (= Lo spettacolo nel mondo antico. Teatro greco e teatro romano arcaico, terza edizione riveduta e ampliata, Roma 2006, pp. 41s.).

4. Cfr. A. W. Gomme, F. H. Sandbach, Menander. A Commentary, Oxford 1973, pp. 420s.

5. E.J. Kuiper, “De Menandri Adulatore”, Mnemosyne 59, 1932, pp. 165-183.

6. L’ipotesi del soprannome non era stata del resto esclusa dagli editori di P.Oxy. 1237, che però mostrano di prediligere la tesi dei due parassiti, avanzata per la prima volta da Wilamowitz.

7. Cfr. V. Jarcho, “Von der Neurung bis zum Truismus — ein Vers”, in: M. Capasso (ed.), Papiri letterari greci e latini, PLup 1, 1992, pp. 117-124.

8. T. B. L. Webster, An Introduction to Menander, New York 1974, 159; W.G. Arnott, Menander. Volume II, Cambridge-London 1996, p. 176.

9. P.G. McC. Brown, “Menander, Fragments 745 and 746 K-T, Menander’s Kolax, and Parasites and Flatterers in Greek Comedy”, ZPE 92, 1992, pp. 91-107

10. Dal punto di vista redazionale il lavoro si presenta ben fatto. Ho riscontrato pochissimi refusi (soltanto a p. 47: P.Oxy. 3006 leggi: 3005; p. 132 r. 8 Mon. leggi: Mon.). Si segnalano alcune incongruenze come l’assenza in bibliografia di alcuni degli studi citati in abbreviazione nelle note (p. 2, n. 7: Flashar 1991 [si tratta del volume di Hellmut Flashar Inszenierung der Antike. Das griechische Drama auf der Bühne der Neuzeit, edito da Beck, di cui tuttavia è uscita nel 2009 una nuova edizione]; p. 2, n. 10 e a.: Ribbeck 1883 [si tratta del saggio Kolax. Eine Ethologische Studie, Leipzig 1883]; p. 9, n. 4 e a.: Ihne 1893 [credo si tratti della dissertazione di Joseph Anton Wilhelm Ihne, Quaestiones Terentianae, Bonnae 1843: se è così, l’anno di pubblicazione indicato è sbagliato. Sull’ Eunuchus e ai suoi modelli cfr. pp. 15-25]; e Oudegeest 1906 [Wilhelmus Jacobus Oudegeest, De Eunuchi Terentianae exemplis Graecis disputatio Amsterdam, Diss., 1906]) e lo slittamento verso il basso della numerazione dei versi del testo greco a p. 50 rispetto al testo a fronte i tedesco. Per finire Die griechische Komödie di B. Zimmermann è citato secondo la vecchia edizione (Düsseldorf-Zürich 1998, cfr. pp. 17 e 188) e non secondo la nuova (Verlag Antike, Frankfurt a. M. 2006).