BMCR 2009.09.38

Retórica e Historiografía. El discurso militar en la historiografía desde la Antigüedad hasta el Renacimiento

, Retórica e Historiografía. El discurso militar en la historiografía desde la Antigüedad hasta el Renacimiento. Madrid: Ediciones Clásicas, 2008. xvi, 568. ISBN 84-7882-624-6. €35.00.

PREMESSA. Al fine di non superare eccessivamente il limite di parole abituale per i lavori di BMCR, il recensore si è limitato a discutere solo gli interventi di ambito prettamente antichistico. Per gli altri lavori, spesso molto buoni, si veda l’indicazione ricavabile dalla Table of Contents.

Il volume curato da Iglesias Zoido raccoglie i risultati del lungo lavoro d’équipe condotto da studiosi della Universidad de Extremadura, insieme con i contributi di studiosi di altre università prevalentemente spagnole che hanno in vario modo collaborato alla ricerca. Il meritorio progetto coordinato da Iglesias Zoido, ha prodotto a supporto della presente monografia anche una pagina web ( www.unex.es/arengas) e una rivista elettronica ( www.unex.es/arengas/taliadixit.htm), che hanno favorito una più agevole diffusione delle attività del gruppo di ricerca. Questa raccolta di saggi si inserisce in un annoso dibattito sulla “adlocutio militaris”, rivitalizzato negli ultimi due decenni soprattutto grazie alla contrapposizione tra le tesi di M. H. Hansen e di W. K. Pritchett, fautori rispettivamente del carattere fittizio dei discorsi dei generali alle truppe (soprattutto quelli prima di una battaglia) e di una sostanziale attendibilità di quella documentazione, non pregiudicata dalla innegabile elaborazione retorico-letteraria messa in atto dagli storici antichi.1 Il principale merito del libro in questione—al quale hanno fatto seguito alcune recenti indagini dedicate allo stesso tema2—consiste nell’approccio interdisciplinare e diacronico che lo rende una sorta di “Companion” o piuttosto di messa a punto (anche se parziale, come meglio si spiegherà più avanti) con la quale necessariamente dovrà confrontarsi chiunque in futuro tratterà questo argomento. D’altra parte, come spesso accade con le opere miscellanee e soprattutto in conseguenza della diversa maturità scientifica e delle specifiche competenze degli autori, la qualità dei singoli contributi non è omogenea.

Juan Carlos Iglesias Zoido è l’autore sia del Prólogo (pp. 11-16), in cui sono presentati i presupposti scientifici e la genesi della monografia, strutturata in tre parti dedicate rispettivamente ad un’introduzione generale, al rapporto tra retorica e storiografia nell’arco cronologico considerato, allo studio specifico dell’arringa militare, sia dell’ampio capitolo introduttivo su “Retórica e Historiografía: la arenga militar” (pp. 19-60), che costituisce un ricco e ragionato “status quaestionis” in cui, grazie ad un’evidente padronanza della vasta bibliografia citata, sono preliminarmente offerte al lettore tutte le principali informazioni indispensabili per affrontare l’argomento prescelto. Iglesias Zoido dichiara (p. 22) di seguire la linea interpretativa di chi considera la storiografia antica un prodotto più letterario che scientifico e di conseguenza vede nei discorsi (anche in quelli militari) più una pratica retorica appartenente ad una consolidata tradizione che una testimonianza storica fededegna. In seguito, i diversi paragrafi si occupano:

a) della bibliografia dedicata all’argomento in esame, a partire dal fondamentale lavoro di Albertus sui “parakletikoi logoi” nella letteratura greca e latina (1908) fino ai più recenti contributi di Hansen, Pritchett, Nicolai e alle monografie dedicate alla funzione dei discorsi nelle opere dei principali storici greci e latini, con un occhio rivolto anche gli studi sulla fortuna della cosiddetta “rhetorica militaris” durante il medioevo e la prima età moderna;

b) di questioni metodologiche, legate soprattutto all’importanza delle arringhe militari che, con la loro sopravvivenza nel corso dei secoli, aiutano a comprendere l’evoluzione del genere e a definire la relazione tra retorica e storiografia. In particolare, si osserva come nell’arringa militare convivano due esigenze, o meglio due necessità, ossia il confronto con le fonti e il rispetto di convenzioni retoriche ben stabilizzate e “attese” dai lettori dell’opera storica; inoltre, la composizione delle allocuzioni alle truppe prevede il rispetto di alcune regole non scritte nell’ambito del genere letterario, che possono intrecciarsi con diverse combinazioni determinate dalle scelte dell’autore;

c) della necessità di definire un “corpus” esaustivo delle arringhe tramandate dalla storiografia grecolatina in forma diretta e indiretta, che completi e sostituisca sia il sempre prezioso ma ormai superato elenco approntato da Albertus sia altri contributi più recenti altrettanto utili ma forse troppo parziali come quello di Pritchett;

d) della definizione delle diverse tipologie di arringa, che non può prescindere da un’attenta analisi delle caratteristiche e del contesto di ciascun discorso;

e) dell’importanza della cornice, del “setting”, ossia di quelle frasi o parole con le quali lo storico introduce o chiude lo spazio narrativo dedicato all’arringa nel più ampio contesto dell’opera. L’impiego sistematico di una serie di espressioni, che hanno al contempo la funzione di accompagnare e caratterizzare la presenza di un discorso, ha fatto sì che esse si trasformassero in canoniche forme di transizione dalla narrazione continua al discorso stesso e viceversa; in base al modo in cui l’autore presenta i momenti che immediatamente precedono o seguono l’allocuzione, il lettore di volta in volta può riconoscere più agevolmente la natura e la funzione emotiva del testo che ha davanti a sé, nonché la tradizione retorico-letteraria in cui esso si inscrive;

f) della nascita e dello “status” retorico del discorso alle truppe nell’antichità, individuando in Tucidide l’artefice di una “rivoluzione” rispetto alla tradizione dell’arringa di ascendenza omerica; tale mutamento epocale fu facilitato e influenzato da un contesto letterario che determinò la natura retorica di quel particolare tipo di “logos”. Allo storico ateniese si deve anche il carattere “ibrido” dell’arringa militare, che scaturiva dal sapiente intreccio di pratiche ed elementi eterogenei, e che già agli antichi rendeva difficile l’inserimento in uno dei tre “genera orationis” e l’elaborazione di una specifica precettistica. A proposito di quest’ultimo aspetto della questione, l’A. giustamente ritiene che sia possibile ovviare a tale innegabile assenza rintracciando nelle opere e nei trattati retorici composti nel lungo periodo compreso tra la prima e la seconda Sofistica diversi riferimenti al discorso militare, che insieme costituiscono le tessere di un mosaico non meno significativo sul piano teorico di quanto sarebbe stato un singolo trattato sistematico dedicato al tema specifico;

g) del rapporto con altri generi letterari, in particolare con la poesia epica;

h) della diffusione del “topos” dell’arringa nella storiografia medioevale e umanistica.

Antonio López Eire, “Retórica e Historiografía en Grecia” (pp. 63-124) offre un’ampia, dotta e piacevole panoramica — che ha il pregio di fondarsi su un costante contatto con i testi — sull’inestricabile intreccio tra storiografia e retorica che si registra in varie forme lungo tutto il percorso della storia letteraria greca. Il contributo si sviluppa in tre paragrafi, dedicati rispettivamente alle caratteristiche della storiografia e al suo rapporto prima con la “retorica dell’oralità”, poi con la “retorica di Ermes”, e infine con la “retorica classicista”, formule in cui sono riassunte le diverse stagioni della retorica greca che si determinano con una costante evoluzione nel corso dei secoli da Erodoto fino alla tarda età imperiale.

Eustaquio Sánchez Salor, “Retórica e Historiografía en Roma” (pp. 125-142) nella prima parte del suo contributo offre una rapida e piuttosto manualistica presentazione delle caratteristiche della storiografia latina, ricostruite soprattutto attraverso le ben note testimonianze di Cicerone e dei maggiori storici di età repubblicana; nella seconda parte, invece, Livio e Orosio sono scelti come esempi dell’influenza di abitudini e schemi retorici su un’opera storiografica.

Roberto Nicolai, “L’uso della storiografia come fonte di informazioni: teoria retorica e prassi oratoria” (pp. 143-174) devia leggermente dal tema specifico del volume, riprendendo un argomento a lui caro e già brillantemente trattato in monografie e articoli pubblicati negli ultimi due decenni, ossia il ruolo della storiografia nell’educazione antica. Nel caso specifico, Nicolai si concentra sull’uso della storiografia come fonte documentaria, confrontando la teoria dei trattati retorici con la prassi oratoria, attraverso un’indagine a campione relativa a tre periodi distinti: il IV secolo a. C., con la grande stagione dell’oratoria, la “Retorica” di Aristotele e la cosiddetta “Rhetorica ad Alexandrum”; l’età ellenistica, definita anche “età dei lettori” a causa della crescente alfabetizzazione e del ricorso a fonti non più orali ma scritte; infine, il I secolo d. C., identificato come “l’età dei declamatori” proprio in virtù dell’affermazione della pratica declamatoria.

La terza sezione del volume è aperta da un altro contributo di Juan Carlos Iglesias Zoido, dedicato a “La arenga militar en la historiografía griega: el modelo de Tucídides y sus antecedentes literarios y retóricos (pp. 231-258). Inserendosi nel dibattito sull’origine e la natura dei discorsi alle truppe e in particolare riprendendo un punto importante delle tesi di M.H. Hansen, secondo cui Tucidide sarebbe l’inventore della “battle exhortation”, Iglesias Zoido si propone di ricostruire il procedimento retorico-letterario seguito dallo storico ateniese nel realizzare tale epocale innovazione in ambito storiografico.

Minerva Alganza Roldán, “Intertextualidad y tradición literaria: la batalla de las Termópilas en la ‘Biblioteca histórica’ de Diodoro de Sicilia” (pp. 259-272) prende in esame il resoconto di Diodoro Siculo a proposito del celebre evento della storia greca, che può fornire utili indicazioni per determinare il rapporto di fedeltà o di autonomia instaurato da Diodoro con le proprie fonti.

David Carmona Centeno, “Historiografía, retórica y ejemplaridad: la escena típica del estandarte y su función en las historias de Roma” (pp. 273-295) sceglie una scena ricorrente nella storiografia grecolatina di età imperiale come esempio del valore paradigmatico che gli antichi tradizionalmente attribuivano al “genus historicum”. Nonostante alcuni refusi e imprecisioni nel testo latino (qualcuna particolarmente spiacevole come “De bello civile”, p. 276), il contributo ha il pregio di basarsi su un costante contatto con i testi — soprattutto Livio e Appiano, ma non solo — e risulta convincente nel sostenere la tesi secondo cui la scena delle insegne rientra nell’immaginario retorico e ideologico funzionale all’affermazione del carattere esemplare della storia di Roma e dei suoi protagonisti.

M. Luisa Harto Trujillo, “Las arengas militares en la historiografía latina” (pp. 297-317) segue il valido proposito di analizzare e soprattutto quantificare la presenza della “adlocutio” nella storiografia latina e a tal fine prima stabilisce un “corpus” riferito ad autori compresi tra il I secolo a. C e il V d. C, quindi affronta alcune delle principali problematiche relative alla tipologia di discorso in esame facendo registrare alcune contraddizioni che pregiudicano la linearità dell’esposizione. Innanzitutto, non sembra condivisibile sul piano metodologico la scelta — che compare anche in altre sezioni del volume, per le quali ovviamente valgono le medesime osservazioni — di considerare insieme le arringhe presenti nelle opere storiche e quelle presenti nei poemi epici e soprattutto di prendere in considerazione queste ultime come prova della loro assoluta infedeltà storica; infatti, sebbene sul piano letterario esistano analogie e legami, si tratta di generi con caratteristiche e finalità assolutamente differenti. Peraltro, la contraddizione risulta ancora più evidente in una monografia che ragiona sulla storiografia considerandola prevalentemente un genere letterario e non un documento storicamente attendibile. Inoltre, sempre a proposito della verisimiglianza delle arringhe, non appare una prova cogente il fatto che a volte i generali “ingannavano” (p. 301) le proprie truppe presentando una situazione non esattamente corrispondente alla realtà: il problema di fondo, infatti, non è tanto l’adesione alla realtà delle parole del generale, il quale può ricorrere ad ogni mezzo pur di incidere sull’animo dei propri uomini, quanto piuttosto se quelle parole siano state realmente pronunciate. Pertanto, l’eventuale “inganno” perpetrato dal generale senza dubbio rientrerebbe in una strategia retorica dai tratti riconoscibili e canonizzati, ma avrebbe una finalità assolutamente pratica e concreta.

Isabel Moreno Ferrero, “La arenga de Marco Claudio Marcelo en Canusio (TL 27.13)” (pp. 319-340) prende in considerazione la “adlocutio” di Marcello nel ventisettesimo degli “Ab urbe condita libri” di Livio, mettendone in rilievo le peculiarità formali e stilistiche, il rapporto di continuità e innovazione con la tradizione, la funzione all’interno dell’impianto narrativo. In particolare, la studiosa, che conduce una serrata analisi del testo attenta soprattutto agli aspetti retorici e oratori, mette in evidenza come Livio elabori una tipologia di discorso capace di rinnovarsi e di creare nuove formule — come dimostra anche l’opportuno parallelo con Plutarco, di cui però non si riporta il testo greco —, ma soprattutto di adattarsi all'”ethos” del generale, che lo storico intende porre in evidenza per rappresentare un personaggio non monolitico, ma complesso, opposto ai grandi eroi fissi dell’epica e in cui convivono diverse qualità tra loro complementari.

Joaquín Villalba Álvarez, “Épica e historiografía: la arenga militar en los ‘Punica’ de Silio Itálico y su relación con Tito Livio” (pp. 341-366) presenta un’interessante e puntuale analisi delle arringhe militari conservate nei “Punica”, confrontandole con la principale fonte storica di Silio Italico, ossia i libri di Livio dedicati alla seconda guerra punica; senza dubbio per completezza e profondità si tratta di uno dei migliori contributi dell’intero volume. Nonostante il sostrato retorico sia comune allo storico e all’epico, Villalba Álvarez giustamente nota che le diverse esigenze e le leggi tipiche di ciascun genere determinano evidenti differenze nella connotazione delle “adlocutiones”; ne consegue, per esempio, una maggiore o minore estensione del discorso o che la ricerca della “veritas”, prima tra le “leges historiae”, induca lo storico ad utilizzare un lessico meno elevato e possibilmente più “vicino” a ciò che il generale avrebbe potuto realmente dire, rispetto al poeta che, meno condizionato dal principio della verisimiglianza, ricorre ad un vocabolario più ricercato, ad una maggiore aggettivazione, ad una forte drammatizzazione della scena.

Julio Gómez Santacruz, “La iconografía del discurso militar (‘adlocutio’) en Roma: arquitectura conmemorativa y numismática” (pp. 367-404) affronta il tema dell’arringa militare da una prospettiva metodologica interessante e fruttuosa, poiché consente di confrontare le immagini riportate su monumenti celebrativi in cui compaiono scene di “adlocutio” — come la colonna traiana e quella di Marco Aurelio — o sulle monete di età imperiale con le testimonianze letterarie di cui disponiamo. In realtà, l’autore non segue questa via interpretativa, concentrandosi essenzialmente sulla funzione delle evidenze architettoniche e numismatiche. Particolarmente ricca e utile l’appendice che riproduce alcune scene della colonna traiana e un buon numero di monete con scene di allocuzioni. Dispiace rilevare la presenza di alcune imprecisioni soprattutto nello scioglimento delle sigle numismatiche, come “Adlocutio Auggustorum” (p. 370), Fidex Exercitus (p. 370; p. 379).

Alle pagine 509-513 sono affidate le conclusioni generali, che sostanzialmente riassumono quanto esposto nei singoli contributi e confermano l’idea dell’arringa come “occasione perfetta per rendere manifesto il valore letterario e la vera abilità artistica di un autore” (p. 513). La bibliografia generale, ricchissima e aggiornata, occupa le pp. 515-536, mentre D. Carmona Centeno, M. L. Harto Trujillo, J. C. Iglesias Zoido e J. Villalba Álvarez sono gli autori di due appendici che probabilmente sul piano scientifico rappresentano il maggior pregio del volume e un decisivo progresso negli studi sull’argomento trattato. Con una suddivisione delle arringhe militari che individua sei tipologie diverse a seconda del destinatario e della situazione, e con uno schema che segnala separatamente l’autore antico, il luogo dell’opera, il mittente, la tipologia e le formule di introduzione e di chiusura del discorso, viene fornito un “corpus” che comprende gli storici greci da Tucidide a Zosimo (Appendice 1, pp. 539-551) e gli storici latini da Cesare a Orosio (Appendice 2, pp. 552-564). Nella seconda Appendice, però, sono considerati anche poeti come Lucano e Silio Italico; al di là dell’impropria definizione di storici, per questa scelta valgono le medesime perplessità già espresse a proposito del contributo di M. Luisa Harto Trujillo. Il libro si chiude con un indice degli autori citati, pp. 565-568.

Il limite principale del volume, che, come si diceva in apertura, non lo rende un punto di riferimento “tout court” sull’argomento, è la scelta — assolutamente legittima, si intende — di affrontare il tema dando uno spazio quasi esclusivo alla linea esegetica secondo cui l’arringa militare fondamentalmente “è tutta retorica”. Nel volume, infatti, solo raramente — e comunque mai in chiave dialettica — si dà conto delle argomentazioni di chi segue una diversa interpretazione; in generale, ma ancor di più nel caso di dibattiti così accesi e tutt’altro che risolti, non è sufficiente scegliere, ma bisogna sostenere e soprattutto motivare tale scelta, altrimenti, tra gli altri, si corre il rischio di cadere in contraddizione e di lasciare le questioni irrisolte. Ad esempio, quando si dice che le “adlocutiones” delle fonti letterarie sono elaborazioni di discorsi molto più brevi, come si decide dove finisce la verità e comincia l’invenzione? E le notizie dei trattati “De re militari” o di altri testi come il “De munitione castrorum” di Igino gromatico, in cui (cap. 11) si dice che una parte dell’accampamento era riservata al “tribunal” da cui il generale doveva arringare l’esercito? In definitiva, è giusto parlare di una “retorica del generale” presentata ed elaborata dallo storico, ma bisogna uscire da un grande equivoco: se è vero — ed è vero — che l’elemento retorico è naturale e innegabile, questo non significa che siamo davanti ad una pura invenzione letteraria. Infatti, soprattutto in ambito latino, l’arringa diviene un momento importante del rapporto “imperator-miles”, un “topos” non solo retorico-letterario, ma anche della prassi politica, in cui l’elemento militare è progressivamente sempre più determinante.

In conclusione, ad eccezione di alcuni contributi, il volume non apporta particolari novità sull’argomento, finendo per ampliare, elaborare e solo in alcuni casi migliorare quanto Hansen aveva già espresso nei suoi contributi. Tuttavia, esso rappresenta senza dubbio un buon riferimento per chi voglia accostarsi al tema e conoscerne aspetti e problematiche; va detto, però, che le numerose imprecisioni tipografiche (refusi, errori nelle citazioni in latino e in lingue moderne diverse dallo spagnolo) ne pregiudicano l’attendibilità e l’utilità.

Notes

1. Cf. soprattutto M. H. Hansen, “The Battle Exhortation in Ancient Historiography. Fact or Fiction?”, Historia 42, (1993), pp. 161-180; Id., “The Little Grey Horse. Henry V’s Speech at Agincourt and the Battle Exhortation in Ancient Historiography”, Histos 1998, pp. 1-14 (= Classica et Medievalia 52, 2001, pp. 95-115); W. K. Pritchett, “The General’s Exhortation in Greek Warfare”, in Id., Essays in Greek History, Amsterdam 1994, pp. 27-109; Id., Ancient Greek Battle Speech and a Palfrey, Amsterdam 2002.

2. Cf. G. Abbamonte-L. Miletti-C. Buongiovanni, “Le allocuzioni alle truppe nella storiografia antica”, in G. Abbamonte-L. Miletti-L. Spina, Discorsi alla prova. Atti del Quinto colloquio italo-francese Discorsi pronunciati, discorsi ascoltati: contesti di eloquenza tra Grecia, Roma ed Europa, Napoli-S.Maria di Castellabate 21-23 settembre 2006, Napoli 2009, pp. 27-86 (G. Abbamonte, “Allocuzioni alle truppe: documenti, origine e struttura retorica”, pp. 29-46; L. Miletti, “Contesti dei discorsi alle truppe nella storiografia greca: Erodoto, Tucidide, Senofonte”, pp. 47-61; C. Buongiovanni, “Il generale e il suo ‘pubblico’: le allocuzioni alle truppe in Sallustio, Tacito e Ammiano Marcellino”, pp. 63-86). Il volume è consultabile on line all’indirizzo www.fedoa.unina.it/2998/.