BMCR 2005.10.21

The Second Sophistic. Greece and Rome – New Surveys in the Classics, 35

, The second sophistic. Greece & Rome. New surveys in the classics, no. 35. Oxford: Oxford University Press, published for the Classical Association, New York :. 106 pages ; 24 cm.. ISBN 0198568819. £7.95.

Il breve volume di Tim Whitmarsh appare in una collana dedicata a temi, concetti e autori chiave del mondo classico caratterizzata da un approccio incisivo e sintetico; essa mira a fornire gli elementi fondamentali dei singoli argomenti, e, insieme, un orientamento sullo sviluppo degli studi. L’autore manifesta qualche timore per i limiti imposti da questa linea di alta divulgazione (“In a work like this, some parts will inevitably seem derivative to specialists …”, p. 2): ma la sintesi che offre è brillante, aggiornata e ha tratti di originalità.

Non è frequente, per esempio, l’attenzione riservata nel primo capitolo al significato e all’interpretazione della Seconda Sofistica negli studi moderni e contemporanei, prima e dopo la ‘riscoperta’ dovuta a Glen Bowersock alla fine degli anni Sessanta.1 Nella presentazione trovano spazio le esegesi tardo ottocentesche (Rohde, Schmid, Wilamowitz), ma a Whitmarsh interessa soprattutto ricostruire le linee-guida delle principali interpretazioni contemporanee. Esse riguardano “the degree of cultural independence that a traditional people can mantain when it finds itself within a new ‘global’ hegemony” (p. 8). L’una è centripeta: si concentra sulle relazioni tra i sofisti e il potere centrale, ed è attenta al loro ruolo di mediazione tra le città greche e Roma (Bowersock). L’altra è centrifuga: si impernia sul rafforzamento dell’identità culturale greca come risposta all’occupazione romana (Bowie, Swain). Whitmarsh integra questo quadro ben noto con la menzione di linee di sviluppo più recenti. Gli sta a cuore in particolare, poiché egli stesso vi si colloca, la tendenza che definisce post-strutturalista: essa si concentra su “theatricality, performance, playfulness, and elusiveness” intese non come indizi di una cultura sclerotica e decadente, ma come prove di vitalità ed energia, nonché di raffinata capacità autoriflessiva nell’elaborazione letteraria (p. 9). Fra le tendenze esegetiche, l’autore menziona utilmente anche l’interpretazione della prosa cristiana antica nel quadro più vasto della cultura pagana d’età imperiale, a partire da un ben noto studio di Peter Brown.2 Dallo status quaestionis emerge un ritratto critico e non univoco della Seconda sofistica, una caratteristica importante in un’opera divulgativa. Essa è certamente ciò che volle farne il creatore della definizione, Flavio Filostrato: una forma di declamazione oratoria tipica dei primi tre secoli dell’età imperiale. Nello stesso tempo, la Seconda Sofistica è anche ciò che gli interpreti contemporanei vi hanno trovato: un ambito non esclusivamente letterario in cui ricercare la formazione, l’identità e le funzioni dell’élite greca imperiale nelle sue relazioni col potere centrale, e un particolare sistema di comunicazione sociale. La stratificazione di possibili interpretazioni che non si elidono a vicenda ha caratteri giustamente definiti postmoderni (p. 9), e spiega perché questo ambito di studi cresca oggi con sempre maggior vigore, e susciti contributi in cui si incrociano proficuamente diverse discipline.3

I due capitoli seguenti spiegano più in dettaglio il modus operandi e i valori socio-culturali del sofista. Il secondo riguarda la dimensione orale e performativa della Seconda Sofistica, e pone l’accento sulla relazione tra l’oratore e il suo uditorio (“Sophistic Performance”, pp. 23-40). Whitmarsh pensa che “sophistry was, among other things, a space for competition between individual ambitions within the hierarchy of the Greek aristocracy” (p. 41): sono centrali, dunque, il ruolo dell’audience, la natura e i limiti dell’improvvisazione sofistica, l’importanza data all’abbigliamento e all’apparenza fisica e, più in generale, al problema dell’identità e dell’immagine pubblica. Il terzo capitolo (“The Politics of Language and Style”, pp. 41-56) èdedicato alla paideia letteraria: l’autore si impegna nel ricercare i valori culturali e le ragioni profonde di alcuni codici comunicativi peculiari, come la minuziosa competenza tecnica censita nei trattati antichi riconducibili all’ambiente sofistico, e l’ossessivo atticismo registrato dai lessici.

Nel terzo capitolo, l’autore è attento soprattutto al ruolo socio-culturale della paideia, assai più che alla teoria letteraria in sé (p. 41). Lo stesso vale per i testi sofistici giunti fino a noi, oggetto del quarto capitolo (“Reading sophistic texts”, pp. 57-73). Secondo Whitmarsh, il potere e la seduzione della Seconda Sofistica non possono emergere appieno da “the disembodied words of the declamation on the page” (p. 57). La parola scritta occulta la caratteristica fondamentale della declamazione sofistica: la dimensione competitiva nello spazio pubblico. Ne consegue che “it is impossible to approach the surviving texts simply as documents of their authors’ views” (p. 57): il loro senso autentico nasceva dalla molteplicità e dalla dinamicità di interpretazioni vive e immediate. La riflessione di Whitmarsh è stimolante. In realtà, la comprensione del contesto performativo è determinante per gran parte della letteratura greca sin dall’età arcaica, dall’epos alla lirica, al dibattito politico, al teatro. In molti casi, le opere superstiti mantengono nei secoli un’autonomia estetica e contenutistica: esse si comprendono appieno nel contesto in cui sono state prodotte, ma nel contempo lo eccedono, il che ne fa, appunto, dei classici. Non è così per le declamazioni sofistiche; nell’ottica di Whitmarsh, le poche superstiti si comprendono esclusivamente grazie a un più ampio orizzonte esegetico (culturale, sociale, politico e antropologico): solo un’analisi contestuale permette di recuperare il senso e il valore di testi di non facile approccio, sui cui storicamente gravano giudizi di inconsistenza e futilità, quando non di bruttezza. Si tratta della posizione dominante negli studi, che ha avuto il merito di riportare l’attenzione sul ruolo dell’oratoria nelle dinamiche culturali dell’età imperiale. Mi chiedo, tuttavia, se il senso dei testi si possa recuperare solo e soltanto al di fuori di essi: una serrata analisi letteraria, che riporti l’attenzione sulla fisionomia espressiva delle poche declamazioni sofistiche superstiti, potrebbe rivelarsi utile. Nel secondo capitolo, Whitmarsh disegna alcune strategie espressive generali, tipiche della prosa sofistica: ma anche una più minuta indagine lessicale e stilistica, che entri nei meccanismi compositivi e li confronti con la teoria letteraria antica, permetterebbe di individuare le caratteristiche specifiche dei singoli autori, e almeno un’ombra delle ragioni del loro successo.4 Ma certo è un compito per addetti ai lavori, e difficilmente pu trovare spazio in uno scritto che intende essere introduttivo. Coerentemente con le sue premesse, dunque, Whitmarsh guarda ai testi per le dinamiche espressive generali più che per i contenuti e la resa stilistica. La chiave interpretativa della prosa sofistica va, a suo giudizio, ricercata nella raffinata ed ambigua polisemia della comunicazione, posta in essere nel cosiddetto logos eschematismenos. L’autore mostra come esso si incarni in definite tipologie (il discorso al principe; l’allegoria; la riscrittura della storia e del mito) e le illustra riferendosi a opere come le orazioni περὶ βασιλείας di Dione Crisostomo, il Dioniso e il Tirannicida di Luciano: non le più celebri e accessibili al grande pubblico, ma quelle in cui emerge più chiaramente l’intenzionalità espressiva degli autori. Tutto il volume, peraltro, si caratterizza per il frequente riferimento ai testi, senza escludere autori minori e scritti poco noti.

Il capitolo conclusivo (“The Second Sophistic and Imperial Greek Literature”, pp. 74-89) indica alcune linee d’influenza della seconda sofistica sul complesso della letteratura greca imperiale. L’argomento è assai ampio e complesso: meriterebbe, probabilmente, uno studio a sé. Whitmarsh si concentra sulla crescente attenzione all’interiorità che si ravvisa nella letteratura imperiale, e sul romanzo; sarebbe stato interessante, sfuggendo alla tirannia dello spazio, leggere anche una riflessione sul rapporto tra i principi e i metodi della storiografia imperiale e le performances sofistiche, che, come lo stesso autore rileva (cfr. cap. ι ricorrono con frequenza al glorioso passato ellenico, riscrivendo la storia in altra forma e con altre finalità.

Il volume si conclude con la bibliografia (pp. 90-102). Whitmarsh, nell’introduzione (p. 2) ne preannuncia la natura selettiva: essa intende registrare soprattutto lavori in lingua inglese; i contributi in altre lingue si limitano ai soli testi fondamentali. Quindi la documentazione è ampia, ma è prevedibile che manchino molti riferimenti, in un campo di studi ricco di contributi sempre nuovi in ambiti non solo anglofoni. Mi limito a ricordare, visto che il volume ha in Filostrato la sua fonte principale, la mancata citazione dell’unico commento integrale moderno alle Vitae sophistarum : Filostrato, Vite dei Sofisti. Introduzione, traduzione e note di Maurizio Civiletti, Bompiani (Il pensiero occidentale), Milano 2002. Chiude il volume l’indice dei nomi e degli argomenti (pp. 104-106).

In definitiva, il libro di Whitmarsh rappresenta una sintesi utile e stimolante sulla Seconda Sofistica, concentrata soprattutto sugli aspetti socio-culturali del fenomeno. Si apprezza, in particolare, l’idea complessiva di vitalità, dinamismo, competizione che l’autore restituisce ai testi dei sofisti, presentati non come sterili giochi libreschi fini a se stessi, stanchi frutti di una civiltà decadente e tutta rivolta al passato: essi appaiono come il prodotto del dialogo fecondo tra l’oratore e un pubblico vivace e ricco di attese culturali, stimolate dal confronto/scontro col centralismo imperiale. I codici comunicativi dei sofisti (complessi, stratificati, ambigui e non solo verbali), come pure le idee dei loro interpreti, trovano nel libro di Whitmarsh un’eccellente introduzione.

Notes

1. Greek Sophists in The Roman Empire (Oxford, 1969).

2. The Making of Late Antiquity (Cambridge MA, 1978).

3. Si veda, ad esempio, il recente volume Paideia: The World of the Second Sophistic, a c. di Barbara Borg (Berlin 2004).

4. Mi permetto di segnalare alcuni miei tentativi, come Intenzionalità espressiva e ordine della narrazione nei Discorsi sacri di Elio Aristide, ACME LII (1999), pp. 197-212, e Elementi di estetica sofistica in Filostrato, ACME LV (2002), pp. 233-248.