BMCR 2021.06.22

Egypt and the Augustan cultural revolution: an interpretative archaeological overview

, Egypt and the Augustan cultural revolution: an interpretative archaeological overview. Babesch. Supplement, 38. Leuven: Peeters, 2019. Pp. viii, 183. ISBN 9789042940574. €64,00 (pb).

Il libro di Marike van Aerde, pubblicato come supplemento della rivista BABESCH, è l’esito del lavoro di dottorato svolto dalla studiosa presso l’Universiteit Leiden e si inserisce a pieno titolo nella tradizione delle ricerche condotte dalla Faculteit der Archeologie dell’ateneo olandese.

Nel primo introduttivo capitolo (pp. 1-10) l’autrice illustra l’ambito storico-politico che la ricerca ha affrontato, entrando al contempo nel dibattito scientifico sull’età augustea che a duemila anni dalla morte dell’imperatore è sempre più vivo. Viene così definito il ruolo che fin dal principio l’Egitto ebbe nella politica augustea, anche attraverso lo sviluppo autonomo (cioè non vincolato direttamente alla “propaganda”) delle produzioni della cultura materiale dell’epoca. Nel paragrafo “Egypt in Augustan Rome” viene sottolineato quanto sia stata sminuita in passato l’influenza dell’Egitto sulla cultura materiale urbana in epoca augustea, solitamenteclassificata nell’alveo dell’Egittomania o della moda. Proprio dalla necessità di una riconsiderazione del rapporto fra l’Egitto e la Roma augustea nasce, a detta dell’autrice, l’indagineche qui viene recensita.

Nel secondo capitolo (pp. 11-26) viene spiegato il metodo che ha caratterizzato la ricerca e l’analisi dei reperti. Con uno sguardo sulla storia degli studi—nella quale si passa dalla Kopienkritik all’emulazione creativa che contempla una maggiore partecipazione da parte degli artisti romani ispirantisialle opere greche— la studiosa sottolinea il percorso che lei stessa ha compiuto per affrontare lo studio del materiale archeologico non come semplice insieme di oggetti bensì come manifestazione di un mondo multiforme con molteplici significati. È inoltre spiegato l’uso che viene fatto di termini quali ‘ellenistico’, ‘greco’, ‘egizio’ ed ‘egittizzante’.

Il titolo del terzo capitolo (pp. 27-166), “Egypt in Augustan Rome: an interpretative overview,” rappresenta l’essenza del volume ancor meglio del titolo vero e proprio, e costituisce il cuore della ricerca. È diviso in quattro parti, dedicate rispettivamente al Palatino augusteo (A), alla città pubblica (B), agli alleati dell’imperatore e all’élite urbana (C) e alla città privata (D); ogni parte è composta da più sezioni (11 in tutto), che insieme presentano una panoramica delle manifestazioni dell’Egitto nella cultura materiale di età augustea. Qui si trova l’analisi della documentazione archeologica, della quale fanno parte anche reperti inediti discussi ove possibile nel loro contesto originario.

L’esordio della parte dedicata al Palatino è riservato al complesso residenziale augusteo, con una storia degli scavi condotti nell’area a partire dal 1861 e una presentazione topografica dell’area. La studiosa analizza alcuni frammenti di pitture parietali di carattere egizio rinvenute in situ. È il caso, ad esempio, di una scena che raffigura un sacerdote/offerente accompagnato da una sfinge e da un sistro (probabilmente tenuto da una seconda figura non conservata), elemento quest’ultimo che caratterizzava i contesti isiaci. Per ovvi motivi non manca l’analisi dell’Aula isiaca, dove si concentravano affreschi di chiara matrice egizia ed isiaca. Di un certo interesse sono anche le terrecotte figurate con Iside fra due sfingi provenienti dal tempio di Apollo Palatino. A parere della studiosa le molteplici declinazioni dell’Egitto rappresentavano per Augusto un veicolo per il cambiamento culturale di Roma; molti elementi derivati dalla tradizione ellenistica sarebbero stati scelti in un repertorio già noto ed utilizzati da Augusto nella propria residenza con un deliberato intento politico.

Per la città pubblica sono proposti alcuni dei monumenti più rappresentativi della politica edilizia augustea quali l’Ara Pacis, il Foro di Augusto e alcuni obelischi. Per l’Ara Pacis ci si sofferma soprattutto sui fregi e su alcuni motivi ornamentali che vengono messi a confronto con elementi analoghi presenti nella Villa della Farnesina e nella Casa di Augusto sul Palatino; dal punto di vista strutturale viene riproposto e analizzato il confronto che Jennifer Trimble ha avanzato fra il grande altare e la Cappella Bianca di Karnak. Del Foro i primi elementi considerati sono i clipei decorati con la testa di Iuppiter Ammon in rilievo, dei quali solo uno è conservato interamente. Meno evidenti, ma secondo la studiosa altrettanto importanti, sono alcuni fregi del Foro, che richiamano in maniera più o meno chiara alcuni dettagli ornamentali dipinti nella casa di Augusto sul Palatino. Per quanto riguarda gli obelischi l’autrice cita immediatamente il fatto che tali monumenti sono stati spesso indicati dagli studiosi come oggetti estranei al contesto urbano mentre secondo lei è vero il contrario: essi sarebbero parte integrante della Roma dell’epoca. Sono quindi presentati in dettaglio gli esemplari del Circo Massimo (attualmente in Piazza del Popolo), dell’horologium (ora di fronte a Palazzo Montecitorio), degli Horti Sallustiani (oggi a Trinità dei Monti), del Mausoleo di Augusto (uno in Piazza dell’Esquilino e l’altro in Piazza del Quirinale), che marcano in maniera chiara ed inconfutabile il successo della propaganda augustea.

In coda a questa sezione è un paragrafo di numismatica sulla celebrazione della vittoria di Ottaviano ad Azio: particolare attenzione è data alle monete che sul verso recano l’iscrizione AEGVPTO CAPTA, con riferimento non solo alla conquista ma anche all’incorporazione della nuova provincia.

Nella terza parte sono analizzati alcuni contesti privati di personaggi di primo piano dell’età augustea quali Marco Agrippa con la Villa della Farnesina, Mecenate con i suoi Horti e Gaio Cestio con la sua Piramide funeraria. Nel caso della Villa la studiosa ha messo proficuamente a confronto alcune pitture ivi rinvenute dimostrando la forte affinità di queste con quelle del Palatino precedentemente trattate, conseguenza di un chiaro programma decorativo comune con un forte richiamo all’Egitto. Anche per gli Horti di Mecenate la studiosa richiama la scoperta di pitture parietali stilisticamente simili a quelle del Palatino e della Villa della Farnesina, pur essendo apparentemente assenti immagini di ispirazione egizia o di carattere nilotico; vengono inoltre analizzate due statue di granito egizio rinvenute negli Horti e raffiguranti un toro Apis e un cane da caccia. Con la Piramide di Gaio Cestio si passa a un monumento che è esso stesso un richiamo all’Egitto, senza la necessità di ulteriori interpretazioni; tuttavia la studiosa conduce la propria ricerca anche all’interno della camera funeraria, ove sono pitture parietali del genere già trattato. Viene ripresa e tradotta l’iscrizione che ricorda il nome del defunto e che campeggia all’esterno del monumento: nella traduzione della prima linea sarebbe stato meglio evitare il termine gens con riferimento alla tribù Poblilia per non rischiare di generare confusione nel lettore. Sarebbe stato inoltre utile per completezza di informazione inserire in nota un riferimento al sesto volume del Corpus Inscriptionum Latinarum nel quale l’iscrizione è raccolta.

La quarta e ultima parte del terzo capitolo tratta prodotti di lusso come vasi di vetro cammeo, gemme e altri gioielli. L’analisi, che per i vasi spesso concerne frammenti, è stata condotta in maniera rigorosa e rivolta ai minimi dettagli. Tra le gemme studiate è da segnalare un esemplare con una corsa di bighe intorno a un obelisco (sul quale sono incisi un sistro, un serpente e un ibis), con evidente riferimento a quello eretto da Augusto nel Circo Massimo.

Da questi brevi cenni emerge una matrice artistica condivisa dall’élite politica romana dell’epoca, in pieno accordo con il contemporaneo gusto imperiale.

Nel quarto capitolo (pp. 167-173) sono le conclusioni alle quali la studiosa è giunta alla fine di questa “panoramica”. La diffusione su larga scala di prodotti provenienti dall’Egitto e di forme artistiche di ispirazione nilotica a Roma in epoca augustea viene interpretata non, come spesso è accaduto, come una moda esotica bensì come il riflesso di un chiaro programma di propaganda politica, che dal pubblico al privato creò una vera e propria rivoluzione culturale.

Chiudono il lavoro un’appendice con una cronologia dell’età augustea (pp. 174-175) e una ricca bibliografia (pp. 176-183).

Nel complesso si tratta di un lavoro ben strutturato, che si basa in gran parte sull’analisi autoptica dei reperti e dei monumenti archeologici presentati. La studiosa si muove con competenza all’interno del dibattito sviluppatosi intorno al principato augusteo, maneggiando con disinvoltura le fonti antiche e i saggi moderni, fra i quali quelli di Tonio Hölscher e Paul Zanker. Un volume utile per approfondire alcuni aspetti di archeologia urbana (e non solo) di uno dei periodi fondamentali della storia romana. Le immagini, in genere di buona qualità, offrono un fondamentale supporto per il lettore, che talvolta si trova di fronte a reperti completamente inediti.