BMCR 2005.07.08

Ovid. Metamorphosen, Buch VIII. Narrative Technik und literarischer Kontext. Studien zur klassischen Philologie, Bd. 138

, Ovid, Metamorphosen, Buch VIII : narrative Technik und literarischer Kontext. Studien zur klassischen Philologie, Bd. 138. Frankfurt am Main: Lang, 2003. 503 pages ; 21 cm.. ISBN 9783631361115. €74.50 (pb).

Il lettore che sfoglia questo libro e vede il suo autore chiedersi, ad esempio, se il genere letterario sia un aspetto importante nel leggere Ovidio, e poi soffermarsi alcune pagine (178 ss.) per concludere che sì, il genere è effettivamente importante, può esser indotto a metter via il volume come un prodotto trascurabile della perdurante fortuna critica di Ovidio. Eppure sarebbe un peccato, perché questo volume fittamente stampato (più di 500 pagine) contiene molte osservazioni utili e anche spunti acuti, e nel complesso ripaga il suo paziente lettore.

L’ottavo delle Metamorfosi è un libro importante: oltre ad essere, in virtù della sua posizione mediana, il perno del poema, comprende alcuni episodi famosi, che si confrontano direttamente coi loro grandi modelli greci (soprattutto Callimaco), ed è anche travagliato da difficili problemi testuali (la cosiddetta ‘doppia redazione’ di alcuni gruppi di versi). Ai commenti moderni su larga scala (Haupt-Ehwald-von Albrecht, Anderson, Bömer, Galasso), gli studiosi ovidiani potevano già affiancare l’ottimo commento specifico all’ottavo libro di A. Hollis (Oxford 1970); a questi strumenti si aggiunge ora questo libro di Chrysanthe Tsitsiou-Chelidoni (T.-C.), che è il primo ‘commento narrativo’ dedicato a un singolo libro del poema. Vale a dire, esso non si occupa di tutti gli aspetti che un moderno commento scientifico abitualmente tratta (anche se molte dense note forniscono materiale di tipo linguistico, o documentario), ma integra gli altri commenti focalizzando soprattutto i nessi strutturali e i collegamenti tematici fra le varie parti di un episodio o dell’intero libro.

Il volume si apre con una “Einleitung” (pp. 11-31) che è una rassegna sistematica degli studi novecenteschi (soprattutto in area germanica) sulla tecnica narrativa ovidiana. La sezione successiva, “Interpretationen zur Mikrostruktur” (pp. 33-361), è il cuore massiccio del lavoro, e consiste in un’analisi ravvicinata dei principali episodi del libro (Scilla, Dedalo e Icaro, Meleagro e la caccia al cinghiale di Calidone, Filemone e Bauci, Erisittone). Il capitolo seguente, assai più breve (pp. 363-418), “Bemerkungen zur Makrostruktur”, è uno studio a più ampio raggio della struttura del libro e dei rapporti che certi temi e motivi instaurano con altre sezioni, non solo contigue, del poema. Un conciso “Nachwort” conclusivo (pp. 419-23), seguito da due “Appendices” su specifici problemi di Quellenforschung (pp. 425-44), precede un’ampia bibliografia e uno “Stellenregister” (ma ben più utile, per un lavoro così, sarebbe stato un Sachregister) che completano il volume.

Il lavoro è una versione rivista della dissertazione presentata da T.-C. nel 1999 all’Università di Heidelberg (sotto la guida di M.v. Albrecht), ma una revisione assai più radicale, e una drastica riduzione della sua mole, ne avrebbero certamente favorito la leggibilità e dato rilievo alle novità della ricerca. Come c’è da attendersi da una tesi dottorale (soprattutto tedesca), essa fornisce infatti una gran quantità di materiale informativo, corpose note a piè di pagina, una completa dossografia e una discussione dettagliata di molti problemi puntuali: è insomma particolarmente utile per chi ha come interesse primario la ricostruzione del dibattito fra gli studiosi su uno specifico problema critico, ma può scoraggiare lettori più interessati invece a recepire nuovi suggerimenti di lettura o spunti su singoli passi del testo ovidiano.

In realtà, di spunti, suggerimenti, contributi di vario genere il lavoro è assai ricco (per fare un solo esempio, l’interpretazione della figura del narratore Acheloo: pp. 339-61), ma essi rischiano spesso di restare oscurati dalla mole di materiale superfluo. Lo scopo principale della ricerca è quello di mostrare, attraverso un’analisi capillare del testo, che la ben nota fluidità della narrazione ovidiana non equivale a un ‘libero’ accumularsi del materiale narrativo ma è governata da una salda economia testuale che controlla le singole parti del poema e le mette in relazione reciproca, ottenendo un effetto di continuità e compattezza che fa da contrappeso alla tendenziale dispersività di un materiale così eterogeneo. T.-C. riesce efficacemente nel suo intento; in particolare i richiami che collegano questo libro a quelli contigui e agli estremi del poema, cioè al primo libro e al quindicesimo, fungono da forti agenti di coesione strutturale.

L’analisi minuta rivela in effetti che tanti passaggi spesso etichettati come descrittivi (e ritenuti sostanzialmente gratuiti nell’economia testuale) hanno invece una precisa funzione sul piano della sintassi narrativa. Ad esempio, certe svolte cruciali del racconto, come la metamorfosi che conclude un episodio, possono essere prefigurate da associazioni tematiche che implicitamente preparano a quell’esito il lettore inconsapevole. Così (p. 39), la trasformazione di Scilla in uccello è anticipata non solo, com’è noto, dal ‘desiderio’ del v. 51 ( o ego ter felix, si pennis lapsa per auras …) ma anche dall’immagine iniziale che visualizza l’esito incerto della guerra ( inter utrumque volat dubiis Victoria pennis, 13). Oppure, certi dettagli apparentemente privi di motivazione collaborano in realtà alla caratterizzazione dei personaggi: ad es., nello stesso episodio (pp. 47-8), la descrizione della ragazza che già in tempo di pace si reca alle mura (da cui più tardi si recherà a guardare Minosse) per gettarvi sassolini che ne fanno sprigionare il suono della lira di Apollo (il quale le aveva costruite: 8.16-18), suggerisce la sensibilità di Scilla incline a fantasticare e ad abbandonarsi alla passione (un’abitudine che fa venir in mente quella di Emma Bovary di guardar fuori dalla finestra della sua casa). Molto fini anche le osservazioni (pp. 50-62) sulla sezione 24-42 e sui nessi che implicitamente assimilano le figure di Minosse a quella del padre di Scilla, Niso, attraverso il noto ‘motivo di Fedra’ (soprattutto nella versione elegiaca di Her. 4.73-84), che di Minosse è figlia. Aggiungerei soltanto l’effetto paradossale della formulazione ( hac iudice Minos …, 8.24) che fa di Minosse, il giudice par excellence, l’oggetto di un giudizio erotico femminile.1

Naturalmente, come ogni studioso (e ogni buon commento), T.-C. privilegia un taglio particolare in cui le sue indagini si rivelano più produttive, mentre in altri tipi di lettura si percepisce che si sente meno a suo agio, e che certi interessi non sono ‘nelle sue corde’ ma rispondono soprattutto all’esigenza di mostrare un’informazione aggiornata sugli studi ovidiani (ad es. sembra un po’ meccanica la lettura poetologica dell’episodio di Dedalo, pp. 142-81, quasi come un tributo obbligato a fortunate letture recenti dell’episodio parallelo nell’Ars). Fra i contributi più interessanti mi pare il modo in cui T.-C., nell’episodio della caccia al cinghiale (pp. 245 ss.), individua un confronto non solo di gender (un aspetto di cui si è occupata di recente Alison Keith2) ma anche di valori del mondo eroico (per la cui discussione mette utilmente a frutto la grande tradizione germanica degli studi sui Wertbegriffe). In particolare, nella figura di Teseo e nel suo eroismo pragmatico, non temerario ma accorto e prudente (che si poteva forse accostare a quello impersonato da Ulisse, in opposizione ad Aiace), suggerisce di vedere le tracce di un modello di condotta militare che Svetonio attribuisce allo stesso Augusto.3 Sempre in questa prospettiva di analisi, nell’episodio di Filemone e Bauci (pp. 307-12) T.-C. avanza utili suggerimenti sul dialogo con l’ottavo dell’Eneide (nella comune esaltazione di un ideale primitivismo etico-culturale) e in particolare sulle connessioni con l’Evandro virgiliano del personaggio di Lelex, di cui viene accuratamente esplorata la caratterizzazione anche attraverso le sue funzioni di narratore (pp. 312-32).

T.-C. unisce attenzione al dettaglio e sicuro controllo dell’impianto di tutto il poema: di questa visione panoramica dà un’ottima prova nella sezione sulla Makrostruktur (la migliore), dove illustra il movimento narrativo del libro e ne individua i singoli segmenti tematici collegandoli con altri segmenti o episodi del libro stesso e poi dei libri contigui e dell’intero poema. Ne risulta una rete di connessioni spesso impreviste e suggestioni talora illuminanti, ad es. nell’analisi di miti paralleli o tematicamente affini (come quelli di Altea, Procne e Medea: pp. 402-44), e sulla tecnica ovidiana di sopprimere la narrazione di passaggi topici dei vari miti evocandone la presenza in altri appunto correlati. In questa prospettiva di corrispondenze intratestuali aggiungerei solo un paio di osservazioni. Ai vv. 542-3 ( Parthaoniae tandem Latonia clade / exsatiata domus) l’accostamento di Latonia (= Diana) e clades sembra evocare la strage precedente provocata dai due figli della dea, cioè quella contro Niobe e la sua casa (cfr. 6.148-313, e 281 satia … meo tua pectora luctu). Nello stesso episodio, invece (Meleagro morente che vocat … forsitan et matrem, 521-2), il commento sull’arbitrarietà del racconto (il narratore riporta ciò che può esser accaduto, non ciò che di fatto è accaduto) deve aver a che fare con il topos epico delle ‘cento bocche’, che segue di lì a poco (vv. 533-5) e che notoriamente coinvolge problemi di autorità della voce narrativa (e cioè la sua incapacità di ‘dire tutto’).

Preziose sono anche molte osservazioni di lingua, di stile e di metrica verbale, in cui T.-C. si rivela lettrice sensibile e attenta ai dettagli espressivi. Una particolare attenzione è rivolta alla retorica, una dimensione notoriamente essenziale della poesia ovidiana (anche se spesso ostica al nostro gusto), e alla sua funzione nella costruzione del racconto come anche nella distribuzione delle diverse storie nel poema (buona ad es., pur se sommersa da una pletora di materiale di repertorio, l’analisi dei modelli retorici del monologo di Altea: pp. 259-93). La bibliografia, come si diceva, è molto ampia, e abbastanza aggiornata, almeno fino al 1999,5 anche se in qualche caso, soprattutto per gli anni più recenti, sembra che sia stata aggiunta per ragioni di completezza, ma senza essere pienamente assimilata e resa produttiva nell’analisi concreta del testo.

Il lavoro di T.-C. ha insomma i suoi meriti: possiede le qualità della solida filologia tradizionale ma è tutt’altro che insensibile alle principali tendenze della critica ovidiana recente. Certo, più che suggerimenti per letture decisamente nuove fornisce soprattutto informazioni su come Ovidio è stato interpretato fino ad ora, ma è in ogni caso un prezioso complemento agli altri commenti, e un utile contributo alla comprensione di questo singolo libro e delle Metamorfosi in generale.

Notes

1. Formulazione anticipata in qualche modo, in questo gioco di rispecchiamenti nelle relazioni familiari, da Her. 4.74 Phaedra iudice …

2. A. Keith, “Versions of epic masculinity in Ovid’s Metamorphoses”, in P. Hardie, A. Barchiesi, S. Hinds (edd.), Ovidian Transformations. Essays on Ovid’s Metamorphoses and its Reception, Cambridge 1999, pp. 214-39 (spec. 223-30).

3. Meno convincente, nello stesso episodio, la proposta (p. 248) di cogliere nella figura di Teseo (il quale a 15.856 è sì assimilato ad Augusto, ma anche ad Agamennone e Achille) una maligna allusione alle supposte preferenze omosessuali dell’imperatore (tanto più che, come T.-C. ammette, nel testo non c’è alcun cenno alla nota relazione erotica fra Teseo e Piritoo).

4. Dove comunque il paradigma di Medea all’interno della storia di Procne è richiamato abbastanza apertamente al lettore (cfr. 6.614 cum facibus regalia tecta cremabo, e il modulo dei vv. 618-9 magnum quodcumque paravi; / quid sit, adhuc dubito).

5. La lacuna principale è il notevole commento all’intero poema di L. Galasso (Torino 2000); utile poteva essere anche il rinvio a un ricco articolo di S. Timpanaro su Scilla e il suo nome, pubblicato in MD 26 (1991), e poi incluso in S.T., Nuovi contributi di filologia e storia della lingua latina, Bologna 1994, pp. 87-164.